L’Italia degli ultimi trent’anni è un esempio perfetto per descrivere le economie con alti livelli di disuguaglianza strutturale. Alla radice di questo problema vi è innanzitutto il brusco calo delle nascite con il conseguente invecchiamento della popolazione. Questo fenomeno riguarda tutto il mondo Occidentale ed ha colpito l’Italia in modo particolare.
Un maggior numero di nascite permette di erodere i patrimoni ereditari, che non dipendono dal lavoro. Inoltre, una forza-lavoro giovane è più innovativa e produttiva, più capace di adattarsi al continuo avanzamento tecnologico che ha caratterizzato la società occidentale degli ultimi decenni.
L’altro elemento in grado di spingere la crescita nel lungo periodo è la produttività del lavoro, a sua volta connessa con l’andamento dei salari. Anche su questo aspetto il sistema-Italia mostra dei dati preoccupanti. Dal 2010 al 2018 la produttività reale dei lavoratori Italiani è diminuita dell’1,7%, mentre in Europa è cresciuta mediamente del 6,5%.
I salari stagnano ma i patrimoni crescono di valore
Elemento chiave per garantire una società meno diseguale sono dei salari in costante crescita. Se la remunerazione da attività lavorativa è maggiore di quella derivante dalla mera gestione del patrimonio individuale, sarà più facile per coloro che partono da condizioni svantaggiate raggiungere il benessere economico.
Dagli anni ’80 in poi i salari sono stagnanti in gran parte delle economie europee, mentre i valori degli asset sono cresciuti in modo rapido nonostante la crisi dei mutui sub-prime scoppiata nel 2007. L’Italia è in linea con il trend globale ma è più sofferente degli altri, soprattutto a seguito della crisi dei debiti sovrani. Quando, durante i primi anni ‘90, l’Italia era la quarta potenza economica globale i salari medi percepiti dai lavoratori italiani erano superiori rispetto a tutti i principali competitor europei. Il calo della produttività e le imposte molto alte hanno reso il mercato del lavoro italiano debole, il che porta stipendi più bassi ed alta disoccupazione.
Il mercato del lavoro Italiano, oltre che inefficiente, risulta molto iniquo. L’Indice di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi su scala nazionale (per approfondire clicca qui), non a caso ha toccato livelli record in Italia a seguito della Doppia Recessione.
La doppia faccia del risparmio
Gli italiani hanno mostrato un’alta propensione al risparmio durante il XX secolo. Questo ha fatto sì che le famiglie cresciute durante il boom economico abbiano accumulato elevatissimi livelli di patrimonio. Ecco così che il reddito da capitale in % del reddito nazionale è tra i più alti al mondo. Come afferma la seconda legge fondamentale del capitalismo, valida nel lungo termine, alti risparmi e bassa crescita reale generano alti livelli di rapporto tra capitale privato e reddito disponibile. L’Italia, in altre parole, nell’ultima metà di secolo è diventata una delle economie mondiali più profittevoli per i detentori di capitale ma tra le più avverse all’aumento dei salari.
Il divario generazionale
Oltre che avere conseguenze dirette nella capacità di consumo delle famiglie italiane, la stagnazione dei salari ha avuto gravosi impatti sul risparmio. Dagli anni ’80 in poi, proprio dopo l’inizio della stagnazione dei salari, i tassi di risparmio iniziarono a diminuire, fino a divenire addirittura negativi. Il clamoroso crollo dei risparmi degli italiani nel corso del tempo è uno dei principali elementi che ha contribuito a far sì che in Italia si sia ingigantita la disuguaglianza generazionale. Mentre le vecchie generazioni riuscivano senza problemi, anno dopo anno, a mettere da parte sempre più soldi, i giovani d’oggi fanno fatica a risparmiare. Gli italiani nati dopo il 1986 hanno una ricchezza media netta inferiore ai 30 mila euro, mentre quelli nati tra il 1946 e il 1965 vicina ai 90mila euro (per saperne di più clicca qui).
Il divario tra nord e sud
Le notevoli disuguaglianze tra Nord e Sud sono un fattore storico che l’economia italiana eredita da ben prima dell’Unità. Questo non poteva che ripercuotersi anche sul benessere delle famiglie. Inoltre, il Sud ha subito la forte presenza della criminalità organizzata, con tutti gli oneri che ciò comporta.
Il Mezzogiorno oggi continua a mostrare una crescita reale più bassa del Nord. Secondo l’ISTAT, infatti, nel 2065 oltre il 70% della popolazione nazionale vivrà nelle regioni settentrionali. A seguito di lunghi periodi di depressione economica a rimetterci di più sono le fasce più deboli della popolazione. La povertà assoluta al Sud è al 12% della popolazione, toccando i 2,4 milioni di individui. La disuguaglianza nella distribuzione geografica dei redditi in Italia è la più alta dell’Unione Europea. Per esempio, a Bolzano il reddito medio netto è ai livelli della Germania più ricca, in Calabria e Sicilia è vicino ai livelli delle economie ex-sovietiche.
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