La Finanza islamica si conforma ai precetti scritti della Shari’ah, la Legge di Dio, che secondo la religione islamica sono stati rivelati al Profeta Maometto e trascritti nel Corano.
I principi più importanti in materia giuridico-economica si riferiscono a tre temi:
- Denaro. È considerato un mezzo e non un fine. Viene concepito solo come strumento per facilitare le transazioni e come misura che rappresenta il valore relativo di un prodotto.
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Proprietà privata. Essa è garantita, ma è un diritto che trova precisi limiti: l’uso della proprietà deve rispettare la natura e il prossimo; nessun membro della comunità può essere privato dei beni necessari per potere vivere in modo dignitoso.
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Attività imprenditoriale. Deve avere sempre un obiettivo di natura economica (conservazione del capitale e massimizzazione dei profitti) e uno di natura religiosa, cioè deve essere esercitata nel rispetto dei precetti indicati dalla Shari’ah.
Da questi principi discendono i quattro pilastri fondamentali per sostenere qualsiasi attività economica che sia conforme alla Shari’ah: distribuzione equa della ricchezza (zakàh), divieto di interesse (ribà), divieto dell’uso, dell’investimento e del commercio di beni o attività proibite (haram) e divieto di speculare e di introdurre elementi di incertezza nei contratti (maysìr e ghàrar).
I quattro pilastri dell’economia islamica
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Divieto d’interesse (ribà). Il suo fondamento sta nel fatto che non vi può essere alcun guadagno senza l’assunzione di un rischio e nessun arricchimento che non sia giustificato da un’attività realizzata dall’uomo. È quindi vietato qualsiasi tasso di rendimento che sia riconosciuto a prescindere dall’esito dell’investimento per il solo fatto di aver investito o prestato denaro.
A differenza di altri divieti, quale quello di usura (noto anche al Buddhismo, all’Ebraismo e al Cristianesimo), questo è previsto solo nella religione islamica.
Il concetto di interesse nella sua accezione di “remunerazione per lo spossessamento di un capitale per un periodo prestabilito” è dunque totalmente rifiutato dall’Islam, proprio perché il denaro non è considerato un bene ma solo uno strumento per facilitare lo scambio e un’ unità di misura.
Corollario del divieto di ribà è che ogni guadagno può derivare solo da un’assunzione di responsabilità: in altri termini, l’unico modo di impiegare i capitali posseduti è quello di investirli in un’attività produttiva condividendo con colui che la esercita (l’utilizzatore) rischi e benefici dell’impresa.
Appare evidente che il divieto d’ interesse ha un riflesso diretto sul funzionamento dei principali istituti finanziari e sullo stesso funzionamento dell’attività bancaria islamica.
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Proibizione dell’uso, investimento o commercio di beni o attività proibite (haram). È dunque vietato produrre, commerciare o anche semplicemente investire in attività o in società che, anche indirettamente, siano coinvolte nella produzione e vendita di beni o attività proibiti dalla Shari’ah, come ad esempio bevande alcoliche, pornografia, allevamento di suini, casinò e night club.
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Divieto di introdurre elementi di incertezza nei contratti (gharàr) e di speculare (maysìr). Ciò significa che un contratto, per essere valido, non deve contenere punti di incertezza in relazione agli elementi essenziali quali il prezzo o l’oggetto. Sono pertanto vietati gli arricchimenti aleatori puri (scommesse) e i contratti aleatori caratterizzati da elementi speculativi (alcuni derivati).
Attraverso il maysìr è altresì vietata l’assunzione di rischi eccessivi e non legati ad un’attività di impresa, ossia caratterizzati dal tentativo di ottenere una ricchezza in modo casuale scommettendo sostanzialmente su un evento futuro ed incerto.
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Distribuzione equa della ricchezza (zakàh). Chiunque possieda un ammontare eccedente al minimo indispensabile di ricchezza è tenuto a purificare la sua persona pagando un’offerta. Esistono sostanzialmente due tipi di offerta: la zakàh obbligatoria calcolata sui redditi e sui profitti e la zakàh volontaria che è rimessa al buon cuore del donatore. Questa offerta costituisce un dovere morale e consiste in una sorta di tassa religiosa destinata ai poveri cui sono tenuti tutti i musulmani adulti e le persone giuridiche.
Principali prodotti finanziari della finanza islamica
Il sistema islamico ha sviluppato una serie di strumenti finanziari fondati sul principio del profit and loss sharing, che consentono ad un soggetto in possesso di capitali di investirli ed ottenerne un profitto mediante prodotti cosiddetti Shari’ah compliants. Di seguito andiamo ad analizzare le principali tipologie contrattuali.
- Sukuk. Sono l’equivalente delle nostre obbligazioni. A differenza di queste ultime, tuttavia, essi devono avere un sottostante legato all’economia reale che generalmente è costituito da un progetto determinato. Se dunque l’obbligazione è la promessa di ripagare un prestito, i sukuk sono costituiti dalla proprietà di una quota di un certo debito ed il profitto corrisponde, in proporzione, al guadagno che tale progetto genera.
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Al Mudarabah. Può essere definito come un contratto associativo misto di lavoro e capitale che ha come scopo da un lato di far fruttare un capitale e dall’altro di procurare un finanziamento ad un’impresa. In base al contratto di Mudarabah il finanziatore fornisce il denaro e l’imprenditore fornisce la propria attività per l’esecuzione di un progetto. Il finanziatore partecipa sia ai profitti sia alle perdite, mentre l’imprenditore partecipa ai soli profitti ma non ha diritto ad alcuna remunerazione per il proprio lavoro nel caso di perdita. Le quote di partecipazione ai profitti devono, in ogni caso, essere predeterminate.
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Al Murabahah. È l’equivalente del nostro mutuo. Il soggetto finanziato chiede al finanziatore di acquistare al posto suo un determinato bene di cui ha già contrattato il prezzo, pattuendo di ricomprarlo ad una certa data pagandone ratealmente il prezzo di acquisto maggiorato da un profitto predeterminato per il finanziatore.
La Finanza islamica arriva anche in Italia?
Dalla loro nascita le banche islamiche sono cresciute ad un tasso annuo del 10-15%, con un leggero rallentamento nel 2016. Le stime disponibili parlano di risorse pari a circa 2.000 miliardi di dollari, ma secondo le previsioni queste potranno arrivare fino a 3.400 miliardi entro il 2021. Gli stati in cui si sta sviluppando maggiormente questo settore sono Marocco, Etiopia e Nigeria, ma molti altri paesi come l’Australia, il Giappone e forse l’Italia sembra vogliano aprire le porte a tale cultura finanziaria. In Europa non saremmo i primi, visto che la Gran Bretagna ha già ampiamente implementato questo nuovo modo di intendere la finanza.
Forse sarebbe una nuova opportunità di business per il sistema Paese, un flusso di denaro proveniente dai paesi arabi che potrebbe essere intercettato, considerando che in Italia i Musulmani sono almeno 1.600.000 ed in costante crescita. Il proponente dell’iniziativa è stato il Deputato Maurizio Bernardo, Presidente della commissione Finanze di Montecitorio. La novità più rilevante introdotta sarebbero i già citati Sukuk, che hanno fatto il loro esordio in Germania già nel 2004. Vedremo cosa ci prospetterà il futuro. In Parlamento peserà certamente il fattore politico: occorre infatti capire le posizioni che i partiti assumeranno su una materia così spinosa a livello elettorale.
di Marco Avantaggiati