I venti di “guerra fredda 2.0” non soffiano solamente nelle manovre militari e nelle cancellerie diplomatiche del vecchio continente ma anche sul predominio delle forniture di gas della stessa Europa. Questo scontro commerciale vede in azione due contendenti: Washington e Mosca.
L’indipendenza energetica statunitense
La rinnovata indipendenza energetica degli USA si scontra con il predominio della Russia nel mercato europeo delle forniture gasifere, mercato in cui Mosca copre il 35% del fabbisogno europeo: 13 paesi dell’UE dipendono per il 75% dal gas russo, per un totale di 122 miliardi di metri cubi.
Ma ora Washington, con il nuovo metano liquefatto, potrebbe rimettere in discussione il predominio del Cremlino. Grazie allo sviluppo di nuove tecniche d’estrazione di idrocarburi dalle rocce e dalle sabbie bituminose, gli Stati Uniti hanno ritrovato l’indipendenza dalle importazioni di tali risorse dall’estero. Nel 2014 il Congresso degli USA aveva approvato l’autorizzazione delle esportazioni di gas naturale liquefatto. Ma solamente nel 2016 le prime navi sono partite per l’Asia, l’Africa e, in maniera minore, per l’Europa. Il metano viene trasportato in navi cisterna e rigassificato alla consegna. Le navi sono partite dal porto di Sabine Pass, terminal situato al confine tra gli stati americani del Texas e della Louisiana, sotto la gestione della Cheniere Energy. Per ora il terminal è l’unico porto attivo per lo stoccaggio di gas naturale.
Venti di guerra tra Washington e Mosca
Ma cosa ha riacceso le tensioni sulla questione delle forniture di gas? Secondo molti una sola nave cisterna che è attraccata lo scorso giugno in Polonia. La nave, denominata Clean Ocean, ha effettuato la sua prima consegna di gas naturale liquefatto in un paese dell’Europa orientale; oltretutto dopo pochi giorni lo stesso presidente americano Donald Trump, durante la sua visita a Varsavia dello scorso luglio, ha parlato di questo avvenimento come un evento per celebrare l’Intesa dei tre mari, accordo commerciale marittimo per l’energia e il commercio ratificato da 12 paesi dell’Europa orientale e centrale. Durante il discorso tenuto nella capitale polacca, il presidente statunitense ha affermato che «gli USA non useranno mai l’energia per ricattare il vostro Paese [la Polonia] e non possiamo permettere ad altri [riferendosi alla Russia] di farlo». Nel discorso ha indirettamente attaccato Mosca, principale potenza energetica dell’Europa. Inoltre sembra che la stessa nave attraccherà in Lituania, dove effettuerà la sua seconda consegna di metano statunitense ad una ex repubblica sovietica, cosa che preoccupa molto Mosca.
Il vantaggio di Mosca
Per Mosca il mercato europeo rappresenta, nonostante le sanzioni occidentali, il 75% delle esportazioni, mentre i proventi del gas e del petrolio costituiscono il 40% del budget federale russo. Bruxelles da un po’ di anni tenta di diversificare le importazioni di gas, con l’obiettivo di limitare la sua dipendenza energetica dalla Federazione Russa. Per Washington l’occasione è allettante. In America sono iniziati i lavori per la costruzione di nuovi terminal nel Texas, nel Maryland e su tutta la costa orientale, con la possibilità di aumentare le esportazioni di gas a quasi 105 miliardi di metri cubi entro il 2020. In questo scenario la Russia non resta passiva, piuttosto si muove su altri campi. Il Cremlino ha la possibilità di poter diminuire i prezzi delle forniture di gas, cosa che per il consumatore è molto allettante e che supera qualsiasi posizione politica. Secondo il Wall Street Journal il metano statunitense costa 6,29 dollari per milione di “British termal unit” (unità di misura utilizzata per questo commercio) a fronte dei 4,86 dollari per il gas russo. Inoltre, per essere trasportato, il gas naturale deve subire un processo di liquefazione e rigassificazione, cosa non necessaria per il gas russo. Mosca punta sulla realizzazione del gasdotto North Stream 2, tratta da 1200 km passante sotto il Mar Baltico che dovrebbe aggirare l’Ucraina, principale causa delle sanzioni imposte dagli USA legate alla crisi nel Donbass. Se il progetto del North Stream 2 si realizzerà, Mosca avrebbe la possibilità di concentrare l’80% dell’export di gas in direzione dell’Europa su un solo condotto, aumentando i rischi di dipendenza dell’Europa verso il gas russo.