Nel 1973 il mondo occidentale fu scosso da una grave crisi che mise fine al boom economico iniziato subito dopo la Seconda guerra mondiale. Questa crisi fu principalmente il risultato del coinvolgimento delle potenze occidentali nella cosiddetta Guerra del Kippur tra Israele ed Egitto-Siria.
Fin dal 1947, anno in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò il piano per la ripartizione della Palestina in due stati indipendenti come compensazione alla Shoah, lo Stato di Israele attirò le inimicizie degli Stati arabi, i quali ne considerarono la nascita come un atto illegale e un sopruso e risposero con le armi. Ad ogni modo, grazie al supporto occidentale (in primis degli Stati Uniti), Israele riuscì ad avere la meglio nei numerosi conflitti che lo coinvolsero, dalla Prima guerra arabo-israeliana, combattuta tra il 1948 e il 1949, alla Guerra dei sei giorni nel 1967. Tuttavia nel 1973 ci fu un attacco a sorpresa di Egitto e Siria che, per la prima volta, mise in difficoltà il Paese.
Lo scoppio delle ostilità
La guerra iniziò il 6 ottobre 1973, giorno dello Yom Kippur, ricorrenza religiosa ebraica, quando Egitto e Siria lanciarono un attacco congiunto rispettivamente sul Sinai e sul Golan; proprio per la ricorrenza l’esercito israeliano venne colto di sorpresa e fu incapace di arginare e respingere l’attacco. Nelle prime 24/48 ore le forze egizio-siriane riuscirono a penetrare in profondità, forti anche dei nuovi armamenti (cacciabombardieri, missili Scud e sistemi anticarro) forniti dall’URSS e dello sbandamento iniziale dell’esercito israeliano, che sottovalutò il nemico.
L’esito del conflitto si rovesciò grazie al ponte aereo che gli Stati Uniti condussero per trasportare e fornire armi e attrezzature a Israele, che aveva subito perdite ingenti nella fase iniziale del conflitto. Questo ponte venne attivato dal presidente statunitense Richard Nixon, spinto dalle richieste del Primo ministro israeliano Golda Meir, che invocava aiuto, e dal fatto che i Sovietici avevano già iniziato i rifornimenti dei Paesi arabi. In pochissimi giorni una gran quantità di armamenti e risorse raggiunse Israele, capovolgendo così la situazione. Il ponte aereo permise a Israele di sopravvivere all’attacco iniziale, respingendolo, e lanciare una controffensiva che annientò le divisioni egiziane, accerchiandole e minacciando la stessa capitale nemica.
Le Nazioni Unite, preoccupate per la possibile escalation che la guerra avrebbe potuto provocare, imposero a partire dal 22 ottobre 1973 un “cessate il fuoco” che fu rispettato solo grazie alle pressioni del segretario USA, Henry Kissinger, il quale minacciò Israele di sostenere le possibili risoluzioni dell’ONU. Le relazioni tra Israele ed Egitto si normalizzarono soltanto nel 1978 con gli Accordi di Camp David, quando l’Egitto riconobbe, primo tra tutte le nazioni arabe, lo Stato di Israele.
Le conseguenze economiche del conflitto
In ambito prettamente economico la conseguenza principale di questo conflitto, passato alla storia come Guerra del Kippur, dal nome della festività religiosa in cui avvenne il primo attacco, fu una crisi energetica dovuta all’innalzamento dei prezzi del greggio e dei prodotti derivati. Infatti i Paesi arabi dell’OPEC sostennero l’Egitto e la Siria tramite la riduzione delle esportazioni e in alcuni casi addirittura embarghi nei confronti dei paesi filo-israeliani. L’Europa occidentale fu la più colpita dall’aumento dei prezzi del petrolio e i governi furono costretti a varare e ad imporre provvedimenti volti a ridurre il consumo energetico ed evitare gli sprechi.
Per la prima volta furono attivati piani di austerity economica che colpirono anche il sistema industriale e vennero avviate delle riforme energetiche. La crisi rese evidente come la maggior parte dei Paesi e dei sistemi produttivi si basassero su un approvvigionamento di energia non diversificato ed estremamente instabile, restando quindi esposti costantemente a possibili shock e crisi.
In verità una crisi latente era iniziata già nel 1971 con gli Accordi di Bretton Woods, grazie ai quali il sistema monetario internazionale cambiò radicalmente; tuttavia questa instabilità si manifestò in tutta la sua gravità proprio con lo scoppio del conflitto. Come già accennato, la crisi causò la fine del ciclo di sviluppo che aveva caratterizzato i Paesi occidentali dalla fine della Seconda guerra mondiale. Lo shock petrolifero accentuò infatti il rallentamento dell’economia che era già in atto in Occidente sin dalla seconda metà degli anni Sessanta. La produzione subì una riduzione generalizzata, i profitti imprenditoriali calarono e il prezzo delle merci aumentò rapidamente: in breve ci si avviò verso un ciclo inflazionistico e una stagnazione. I Paesi si ritrovarono dunque in condizione di stagflazione, cioè il fenomeno in cui contemporaneamente sono presenti l’inflazione e una mancanza di crescita dell’economia in termini reali.
L’impatto sul pensiero economico
La stagflazione mise in discussione le teorie economiche fino ad allora accettate, dal momento che risultarono inefficaci a risolverla. Nella seconda metà degli anni Settanta ciò portò alla radicale modifica del pensiero economico; si osservò il passaggio da un’economia prettamente basata sulle teorie keynesiane a una neoliberista in cui furono riscoperte le teorie della Scuola Austriaca (Bawerk, Von Mises e Hayek) e assunse sempre più importanza la Scuola di Chicago (Friedman e Harberger). Non deve sorprendere quindi che nel 1979 nel Regno Unito venne eletta Margaret Thatcher e nel 1981 negli Stati Uniti Ronald Reagan, i due principali attori della rivoluzione liberista nel mondo occidentale. Infatti per tutto il corso degli anni Settanta il PIL di tali Nazioni subì un notevole rallentamento e l’aumento della disoccupazione, accompagnato dalla crescita dell’inflazione, causò un forte malcontento popolare.
Infine, nel lungo periodo, questa crisi portò in Occidente il processo di terziarizzazione e di delocalizzazione delle strutture industriali. Fu così che un conflitto che sembrava avere elementi in comune a tanti altri e che si concluse in meno di 20 giorni portò a una rivoluzione nel pensiero economico le cui conseguenze sono ben visibili ancora oggi, ad oltre quarant’anni di distanza.