Clima dinamico, aperto e innovativo caratterizzato dalla forte presenza di giganti mondiali della tecnologia e della comunicazione e di infrastrutture. No, non siamo nella celebre Silicon Valley, ma nella regione meridionale cinese di Pearl River Delta (PRD), in provincia di Guandgong. Stando ai dati forniti dal The Economist, questo piccolo spazio di terra, che conta solo l’1% del territorio nazionale e il 5% della popolazione, vale più del 10% del PIL domestico e il 25% dell’export ed è qui che si concentra la gran parte degli investimenti esteri. La domanda che ci poniamo è semplice: cosa ha reso questo piccolo angolo di terra tanto florido e ambito da renderlo uno dei maggiori cluster mondiali dello sviluppo?
Sicuramente la liberalizzazione del mercato economico e finanziario cinese avvenuta intorno ai primi anni ’80 ha fortemente incentivato investimenti privati, soprattutto dal vecchio continente e dagli USA, che da tempo guardavano alla Cina come un paese dall’immenso potenziale ancora inespresso. In effetti, anche se Mao era riuscito a controllare il problema della fame in un paese così vasto, la Cina continuava ad essere assai arretrata economicamente. Con la sua morte, avvenuta nel 1975, la Cina si è divisa in due: i fedeli ortodossi alla parola di Mao, che sostenevano e ambivano a continuare lungo il cammino da lui, ed un secondo gruppo guidato da Xiaoping. Quest’ultimo alla fine riuscì a prevalere riuscendo così a guidare la Cina sulla strada dello sviluppo e della riforma. Deng Xiaoping ha aperto gradualmente le frontiere cinesi, continuando nel contempo a mantenere una decisiva presenza dello Stato nell’economia e nella politica.
Un altro fattore storico di rilevante interesse è lo sviluppo capillare della comunicazione e soprattutto l’abbattimento dei suoi costi intorno agli anni ’90. La Cina è stata uno dei principali beneficiari di questa situazione, in quanto combinando l’apertura delle conoscenze industriali ed il basso costo del lavoro è riuscita ad acquisire un vantaggio competitivo straordinario. Tuttavia questo vento di sviluppo ha portato nel breve termine i salari degli operai ad aumentare e le aziende manifatturiere vennero costrette a spostarsi verso la parte centrale del Paese oppure in altri stati del sud-est asiatico. Solo alcune decisero di restare e contribuire a formare nel PRD l’hub per le loro sedi centrali.
Oggi la Silicon Delta – così è stata soprannominata da alcuni esperti – rappresenta un polo di attrazione per migliaia di multinazionali che desiderano insediarsi nell’angolo più prestigioso della Cina che, stando alle previsioni, nel 2020 prenderà lo scettro di prima potenza mondiale. Nel PRD non c’è spazio per le imitazioni, ce ne è invece in abbondanza per le società che puntano fortemente sulle funzioni di ricerca e sviluppo. Prendiamo per esempio il colosso hi-tech Huawei. Quest’ultimo spende più della casa di Cupertino in R&D ed impiega il 15% dei suoi ricavi nella progettazione ed innovazione dei suoi prodotti e servizi. Oppure Da-Jiang Innovations, azienda con un valore di circa 8 miliardi di dollari che sviluppa e produce droni a prezzi commerciali, ma sta già pianificando di ampliarsi al settore agricolo e all’energia e nella sicurezza pubblica.
Naturalmente per mantenere una crescita stabile e duratura nel tempo è necessario che essa venga supportata da un adeguato piano di sostegno da parte delle infrastrutture. Ad Hong Kong è in fase di conclusione il più lungo tunnel-ponte sull’acqua (40km), che congiungerà le due estremità dell’insenatura su cui si affaccia il PRD, trasformando un viaggio di 4 ore in circa 45 minuti di macchina. In oltre Hong Kong gode del più grande aeroporto cargo mondiale. Lo stato di ottima salute delle pubbliche infrastrutture è testimoniato anche da un report preparato ogni tre anni da un gruppo di esperti che analizza l’urbanizzazione del Paese sulla base di diversi indicatori. Shenzen si è collocata al primo posto e le altre città del PRD sono tutte situate in ottima posizione. Tuttavia, nonostante tale regione abbia sicuramente infrastrutture migliori di alcuni paesi sviluppati, lo stesso non può dirsi per il resto della Cina, che spende molto di più in logistica.
Il PRD rappresenta dunque quella parte Cina che ha trovato una sua autonomia dal comunismo patriarcale del regime: in questa piccola regione gli investimenti e le società private sono la vera chiave del successo. Ma non c’è dubbio che il PRD costituisca solo l’alba di un trend ancora in fase primordiale e questo lo testimoniano anche i dati che riguardano l’intera nazione. Infatti, se fino a pochi anni fa la Cina veniva spesso associata a contraffazione e violazione di brevetti, oggi, grazie anche ad una generazione emergente sempre più internazionale, qualificata e dotata di spirito imprenditoriale, questa percezione si sta attenuando. Mentre le aziende più vecchie possono faticare nel loro comfort market, gran parte delle nuove società sono invece fondate e gestite da personale che ha svolto un processo di formazione all’estero oppure direttamente da fondi stranieri.
Vastità e densità del mercato, cultura e lingua più uniformi rispetto all’Europa, fame di crescita, costruzione di nuove infrastrutture, investimento nell’innovazione, graduale apertura al mercato estero ed una popolazione impaziente di misurarsi con il mondo circostante sono i veri vantaggi chiave del Dragone rosso. Lo testimoniano anche alcuni dati (The Economist, 23 Settembre 2017):
- le venture-capital nel periodo 2014-2016 hanno investito 77 miliardi di dollari, rispetto ai 12 del triennio precedente;
- gli 89 unicorni cinesi hanno raggiunto una valutazione complessiva di 350 miliardi, leggermente inferiore a quelli statunitensi;
- i paperoni cinesi (persone con un patrimonio superiore ad 1 miliardo) sono 609, superando i 552 americani.
Tuttavia, la Cina si appresta a fare i conti con alcune problematiche naturali inerenti al suo processo di crescita (la cosiddetta “creatività distruttiva” di Schumpeter), come le rivalità economiche dei paesi del sud-est asiatico, l’innalzamento dell’età media e la conseguente diminuzione della forza lavoro e l’incremento medio dei salari. Tutti punti di cui la Cina sta già risentendo, ma ancor di più il PRD come parte più aperta e dunque sottoposta a tali intemperie.