Passati 150 anni dall’unità d’Italia, nel dibattito politico, sociale ed economico, un tema che continua ad esser presente è quello della Questione Meridionale. Un tema assai dibattuto, ma ben lontano da una risoluzione.
Prima dell’Unità
La locuzione “Questione Meridionale” venne utilizzata per la prima volta da Antonio Billia nel 1873, per sottolineare la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno in confronto al Nord, il quale poteva vantare un’industrializzazione assai elevata. Infatti, fu proprio nel 1861 che molte differenze tra le due parti delle Penisola, vennero messe in risalto. In realtà prima dell’Unità il Sud Italia poteva vantare moltissime ricchezze. Si pensi alle numerosissime invenzioni che vennero brevettate proprio nel Regno delle due Sicilie, o ai tanti primati: la prima ferrovia, la prima locomotiva, l’invenzione del telegrafo, il primo codice marittimo e anche la prima università di lingue in Europa: l’Orientale. Proprio Campania e Sicilia, grazie alle loro ricchezze naturali e alla loro considerazione di “capitale” nell’impero Borbonico, erano le regioni più ricche. E’ da sottolineare però come tutta questa ricchezza fosse gravemente mal distribuita. C’era un fortissimo divario tra i ceti alti della popolazione, che potevano permettersi una vita agiata e lussi, ed i ceti bassi, a cui corrispondeva la maggior parte della popolazione, costretta ad un lavoro quasi schiavile nei latifondi. Questo spiega il motivo per il quale la qualità media della vita al Sud era nettamente inferiore rispetto a quella al Nord. All’indomani del 1861, invece, la storia Italiana assume una forte mutazione degli equilibri che si erano instaurati fino a quel momento.
Dopo l’Unità
Ciò che effettivamente successe nel processo di unificazione resta tutt’ora un argomento controverso nella storiografia.
Ma possiamo analizzare ciò che accadde da un punto di vista economico. Nei 30 anni successivi tutta l’economia del Meridione subì un fortissimo crollo, rischiando quasi il collasso. Infatti, insieme all’Impero Borbonico, cadde un intero sistema che la casa reale spagnola aveva instaurato. Un sistema basato su corruzione e favoritismo, che dava grande importanza ai latifondisti per assicurarsi una legittimazione. Tutto ciò non ha permesso l’emergere di una classe borghese, in grado di far nascere l’industria, come intanto stava accadendo nel Nord Italia. Il divario cresceva costantemente e l’incapacità della classe politica del tempo di rispondere a questa situazione d’emergenza ha fatto si che di Questione Meridionale si arrivasse a parlare tutt’oggi. Nel presente, il divario resta pressoché lo stesso. Gli ultimi dati Istat ci restituiscono una fotografia del meridione dove regna il crollo del pil, con una desertificazione industriale e povertà dilagante. Stando alle statistiche, 1 su 2 delle regioni nel meridione vive alla soglia della povertà. Molti meridionalisti denunciano il fatto che i fondi europei destinati al Mezzogiorno sono nettamente inferiori rispetto a quelli destinati al Nord. Tra questi Marco Esposito, convinto meridionalista e maggior studioso della Questione Meridionale, che sottolinea come su 4.859 milioni di euro messi a disposizione dall’Europa, solo 60 milioni (1,2%) sono destinati al meridione. Questo divario è evidente se si pensa alla carenza di infrastrutture, al ritardo nello sviluppo di Internet veloce e alla limitata estensione della
rete ferroviaria ad alta velocità. Altri invece gridano allo scandalo. In un recente articolo dell’Huffington Post si legge che “I fondi europei, il Sud li spende poco e male”. L’articolo continua con un intervista a Francesco Grillo, Docente di politica economica a Oxford, secondo il quale i finanziamenti al Mezzogiorno ci sono e sono ingenti. Anzi, lo stesso studioso denuncia
l’eccessività con cui vengono elargiti questi aiuti, sostenendo che dal ritardo di sviluppo vissuto permanentemente è nato un sentimento di dipendenza dall’aiuto pubblico, che non permette una reale crescita.
Due linee estremamente contrapposte. I recenti governi hanno posto nuovi ministeri per politiche specifiche per il meridione, e questo sembrerebbe essere già un notevole passo avanti rispetto alle legislazioni passate che di Questione Meridionale non ne hanno mai voluto parlare.