Il cobalto è un minerale che anno dopo anno diventa sempre più prezioso. L’equazione è semplice: le auto elettriche conquisteranno il mercato, le auto elettriche per funzionare hanno bisogno di batterie al litio, le batterie al litio necessitano di cobalto. Il cobalto è alla base non solo della produzione di auto elettriche ma anche di computer, tablet e smartphone. L’aumento del prezzo di questo materiale, circa del 75% dal 2016 al 2017, aiuta a comprendere l’ordine di grandezza del fenomeno. Se nel 2006 il 20% del cobalto scambiato sul mercato veniva usato per costruire batterie, nel 2017 la percentuale è salita ad oltre la metà e continuerà a crescere.
Le case automobilistiche si preparano
Le grandi case automobilistiche si stanno preparando allo shift del mercato verso l’elettrico, come il gruppo Volkswagen che ha annunciato l’obiettivo di produrre tre milioni di auto elettriche l’anno entro il 2025. La casa automobilistica ha programmato investimenti per 20 miliardi di euro fino al 2030. Secondo alcune indiscrezioni, Volkswagen starebbe chiedendo ai produttori di minerali di sottoporre proposte di forniture sufficienti per i suoi piani di lungo termine, a partire dal 2019 e di durata decennale.
Una delle più rilevanti criticità nel mercato del cobalto è proprio l’accesso al mercato stesso, presidiato da un piccolissimo numero di imprese specializzate. I pochi attori in gioco rendono vulnerabile il prezzo del minerale, che risente anche dei più piccoli cambiamenti strategici da parte di queste imprese. Inoltre, essendo un sottoprodotto delle miniere di rame e nichel, è esposto anche ai rischi di questi due settori estrattivi.
La Glencore
Se le case automobilistiche si stanno preparando all’imminente rivoluzione elettrica, anche i grandi gruppi industriali stanno facendo lo stesso. La Glencore, gigante delle estrazioni che domina il mercato con oltre 28.000 tonnellate di cobalto l’anno, ha siglato un accordo per fornire 20.000 tonnellate ad un’azienda cinese, la Contemporary Amperex Technology. Il gruppo guidato da Ivan Glasenberg si rafforza nel rame e nel cobalto, con un’operazione da 960 miliardi di dollari diventando l’unica proprietaria della maggior miniera di cobalto al mondo, che si trova nella Repubblica Democratica del Congo. Solo da questa nel 2016 sono state estratte 24.500 tonnellate di minerale, quasi un quarto della produzione globale complessiva di quell’anno. La transazione riguarda la holding Fleurette Group, che oltre alla quota di Mutanda trasferisce a Glencore anche il 10,3% di Katanga Mining, società quotata a Toronto che estrae rame e cobalto, sempre nel Congo, di cui ora Glencore avrà l’86,3%.
Il risvolto etico
Ultimo aspetto, chiaramente non per importanza, è quello etico. Amnesty International nel rapporto titolato
“Questo è ciò per cui moriamo: Abusi dei diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo alimentano il commercio globale di cobalto”
denuncia lo sfruttamento di uomini, donne e bambini, costretti a lavorare 12 ore al giorno in condizioni estremamente pericolose per una paga giornaliera di circa 2 dollari in media. Nel 2017 il 20% di questo minerale viene estratto “artigianalmente” nella regione del Katanga, nella parte meridionale della Repubblica Democratica del Congo, si stima che i “minatori artigianali” siano dai 110.000 ai 150.000. Questi devono scavare profonde gallerie con semplici scalpelli. Inoltre, l’esposizione a polveri contenenti cobalto potrebbe causare numerose malattie dell’apparato respiratorio. I crolli nelle gallerie artigianali sono comuni e provocano centinaia di morti l’anno.
Il prodotto che i minatori artigianali riescono a ottenere viene venduto a commercianti intermediari, i quali poi rivendono il minerale a grandi aziende che poi provvedono ad esportarlo nei propri stabilimenti. Sono finiti sotto accusa, non legale, nel corso del tempo 16 colossi industriali fra cui Apple, Sony e Microsoft, colpevoli di scelte poco etiche nella propria filiera di fornitori. La maggior parte delle multinazionali contattate da Amnesty International hanno negato di essere a conoscenza del fenomeno e solo 6 società hanno promesso indagini. Secondo Amnesty la soluzione non sarebbe complessa: le aziende non dovrebbero boicottare l’estrazione del cobalto ma attuare la “due diligence”, un approfondimento meticoloso sui loro fornitori, imponendo il rispetto almeno dei più elementari diritti umani.