Fin dal XVII secolo ci sono state persone che hanno immaginato fantasiosamente il viaggio dell’uomo nello spazio. Fu un insegnante russo, Konstantin Tsiolkovskij, a porre per primo solide basi teoriche a supporto di questo sogno. Egli propose di utilizzare un razzo che, tramite la combustione di idrogeno e ossigeno liquidi, avrebbe funzionato come sistema di propulsione sia dentro che fuori l’atmosfera, come accade oggi.
Prima di andare avanti bisogna fare dei piccoli chiarimenti sui termini. Oggi, con “razzo” si intende non un veicolo, come si potrebbe pensare, ma una tipologia di motore che fornisce una spinta in virtù della terza legge della dinamica, ovvero il principio di azione e reazione. Un razzo, dunque, può spingere un missile, che è il vero e proprio veicolo, il quale porterà al di fuori dell’atmosfera terrestre, satelliti o sonde di tipo commerciale, militare, scientifico o altri tipi di carico che potranno poi entrare in orbita intorno alla Terra o ad altri pianeti. Il termine “missile” è in qualche modo sfortunato, visto che porta perlopiù a pensare all’utilizzo bellico dello stesso. Come in molti altri settori accadde ed accade ancora, fu effettivamente l’interesse dei governi nelle potenzialità belliche delle nuove tecnologie che permise, grazie a cospicui investimenti, l’avanzamento di queste ultime, adottate poi non raramente dal settore civile. Se nella missilistica grandi risultati teorici furono ottenuti da Tsiolkovskij, non sorpende dunque che i primi grandi successi pratici furono ottenuti in campo bellico: Wernher Von Braun, famoso ingegnere aerospaziale tedesco, guidò il programma nazista che produsse l’altrettanto famoso V 2, il primo missile balistico. I missili V 2 causarono la morte di almeno 9 mila persone durante il secondo conflitto mondiale. Tuttavia, accantonando tale triste parentesi, va riconosciuto che l’interesse degli Stati nella missilistica di tipo bellico diede il via ad un progresso tecnologico che avrebbe portato negli anni a venire a traguardi come il primo uomo sulla Luna, la Stazione Spaziale Internazionale, robot su Marte, satelliti in orbita attorno a Giove e sonde atterrate su comete.
L’Unione Sovietica e gli Stati Uniti si resero presto conto che avrebbero dovuto a loro volta impossessarsi della tecnologia di cui disponeva la Germania nazista. Per questo motivo, dopo la vittoria degli alleati, gli USA accolsero 120 dei 6000 addetti al programma del V2, tra cui Von Braun; con tale contributo venne prodotto il primo missile balistico nucleare americano, il Redstone, collaudato nel 1953. Dall’altra parte, l’URSS aveva già effettuato test in questo ambito fin dagli anni ’20, senza però ottenere risultati della portata di quelli tedeschi. Dopo aver ottenuto il controllo della fabbrica dei V 2 e di alcuni tecnici e scienziati che avevano lavorato al programma tedesco, i sovietici riuscirono ad ottenere, all’inizio degli anni ’50, motori a razzo di potenza superiore rispetto a quelli utilizzati dal Redstone americano. L’URSS puntava allo sviluppo di un missile balistico intercontinentale in grado di colpire il continente americano. Questi sforzi confluirono nella creazione dell’R-7 Semyorka, capace di lanciare nello spazio un carico utile di una tonnellata. Dopo una serie di fallimenti, nel 1957 fu raggiunto un obiettivo storico: la messa in orbita del primo rudimentale satellite, lo Sputnik-1, che disponeva soltanto di trasmittenti radio e di un termometro. Nonostante la semplicità del satellite l’evento ebbe grande impatto in tutto il mondo; i sovietici esaltarono la propria conquista tecnologica e gli americani si ritrovarono di nuovo indietro. Ciò diede il via alla corsa allo spazio. Il primo satellite americano lanciato in orbita con successo, nel 1958, fu l’Explorer-1, che a differenza dei rivali sovietici fu il primo a trasportare strumenti scientifici, anche se effettivamente l’obiettivo degli Stati in gioco nella corsa allo spazio era quello di mostrare al mondo la propria superiorità tecnologica, non di fare ricerca scientifica: le finalità scientifiche sarebbero rimaste a lungo marginali. Divenne presto chiaro che la corsa allo spazio sarebbe stata vinta da chi fosse riuscito per primo ad inviare un uomo nello spazio. Nel ’58 negli USA nacque la NASA, dove fu trasferito Von Braun. Il compito principale della nuova agenzia aerospaziale divenne appunto spedire al più presto un uomo nello spazio, obbiettivo per il quale gli Stati Uniti non badarono a spese, dando via in fretta e furia al poco riuscito progetto Mercury, che prevedeva la messa in orbita di sette astronauti tramite l’utilizzo dell’omonima capsula Mercury e inzialmente un vettore Redstone, sostituito dal più potente Atlas. Al contrario degli americani, che comunicavano al mondo lo svolgersi dei test, i sovietici ne effettuarono un gran numero in segreto, inviando in orbita nella capsula Vostok-1 diversi animali tramite un vettore derivato dall’R-7. E’ interessante notare come le due superpotenze abbiano riutilizzato entrambe missili ideati come lanciatori di ordigni nucleari per raggiungere l’obiettivo comune di spedire l’uomo nello spazio: per provare la propria superiorità tecnologica al mondo e sovrastare il nemico si inizia ad accantonare la forza bruta costituita dalla potenza degli armamenti nucleari.
Finalmente, nel 12 aprile 1961, i sovietici raggiunsero il traguardo, battendo sul tempo gli americani: Jurij Gagarin, sempre dentro una Vostok-1, compì in un’ora e 48 minuti un’orbita completa della Terra. Ancora prima, nel 1959, i sovietici erano già stati capaci di raggiungere per la prima volta la Luna, con la sonda spaziale Luna-2. La corsa allo spazio era ormai stata vinta dall’URSS, che poteva vantarsi di essere la potenza mondiale tecnologicamente più all’avanguardia, un’ottima propaganda per il comunismo, pubblicizzato come la via per il futuro. In risposta gli americani non poterono che alzare la posta in palio: il presidente Kennedy annunciò al Congresso americano che gli Stati Uniti si sarebbero dovuti impegnare a inviare un uomo sulla Luna e a farlo ritornare sano e salvo sulla Terra, dunque sfidando l’URSS ad una nuova corsa. Solamente venti giorni prima dell’annuncio, precisamente il 5 maggio 1961, Alan B. Shepard era diventato il primo americano inviato nello spazio. Nel 1963, invece, la sovietica Valantina Tereskova ottenne il titolo di prima donna nello spazio, anche se l’interesse dell’URSS nella corsa allo spazio stava progressivamente diminuendo. Al contrario negli Stati Uniti fu avviato il programma Gemini, che avrebbe dovuto fornire le tecniche aerospaziali necessarie al progetto lunare Apollo, al quale prese parte ancora una volta Von Braun, che ideò per tale progetto una nuova serie di potenti vettori: i Saturn. Uno degli obbiettivi del programma Gemini fu quello di ottenere con successo l’attracco di due velivoli spaziali, manovra essenziale per la riuscita del progetto Apollo. Infatti, gli astronauti che avrebbero dovuto raggiungere la Luna sarebbero partiti con un veicolo spaziale costituito di due parti: un modulo di comando e servizio (CSM) e un modulo lunare (LM), il quale sarebbe sceso sulla superficie lunare, decollando in seguito per ricongiungersi al CSM, rimasto in orbita intorno alla Luna, per la fase di rientro sulla Terra. La mole di lavoro richiesta fu immensa e ovviamente furono immensi anche i costi: il programma Apollo venne a costare agli USA 25.4 miliardi di dollari. Tuttavia, gran parte di questi soldi rimase all’interno degli Stati Uniti: centinaia di ditte appaltatrici americane erano impegnate nello sviluppo della serie Saturn e nel frattempo le industrie aeronautiche statunitensi Grumman e North American Aviation iniziarono a costruire un modulo lunare e nuovi moduli di comando. A metà degli anni ’60 la NASA aveva un bilancio economico di oltre cinque miliardi di dollari all’anno e occupava circa 36000 addetti; complessivamente quasi mezzo milione di persone negli Stati Uniti lavorava, direttamente o indirettamente, al programma spaziale. Il governo sovietico non autorizzò il programma lunare pilotato fino al 1964, trovandosi dunque molto più indietro rispetto agli americani. Nel dicembre del 1968 la NASA ottenne un grande successo: due astronauti orbitarono intorno alla Luna per 20 ore. Il traguardo si fece sempre più vicino e ormai gli americani erano gli unici rimasti in corsa: i sovietici dichiararono che, in realtà, non era mai stato di loro interesse mandare l’uomo sulla Luna. Il 16 luglio 1969 partì l’Apollo 11, la missione che fece di Neil Armstrong il primo uomo sulla Luna. Sulla superficie, Armstrong e il suo collega Buzz Aldrin effettuarono alcune operazioni di ricerca scientifica, anche se il vero scopo della missione, quello di “essere là”, era già stato raggiunto. A partire da questa missione iniziarono a sorgere pressioni nei confronti della NASA perché il suo bilancio venisse ridotto, dal momento che l’economia americana stava perdendo colpi e le finanze soffrivano per i crescenti costi della guerra in Vietnam. Inoltre molti cittadini americani criticavano questo genere di progetti che, nonostante avessero enormi finanziamenti, non sembravano apparentemente avere risvolti utili dal punto di vista della qualità della vita. Perciò il programma Apollo fu limitato ad altre quattro missioni, che posero l’enfasi sulla ricerca scientifica, trascurata da molto tempo.
A partire dagli anni ’70 le attenzioni politiche, non più incentrare sulla competizione tra le due superpotenze, e le condizioni economiche, non solo degli Stati Uniti ma di tutto il mondo, fecero sorgere l’esigenza della realizzazione di tecnologie spaziali più economicamente sostenibili. Una soluzione trovata dagli americani fu quella dello Space Shuttle, una navetta spaziale riutilizzabile che, a missione compiuta, sarebbe atterrata come un normale aereo, a differenza delle precedenti capsule che venivano recuperate in mare. Lo Shuttle entrò in servizio dal 1982, ma la navetta non si rivelò particolarmente economica. Era previsto che parte delle spese per lo Shuttle venissero raccolte tra i clienti privati che avevano bisogno di lanciare satelliti o altri servizi spaziali, ma esso richiedeva una spesa maggiore rispetto ai concorrenti, ovvero i vettori Ariane di proprietà dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea fondata nel 1975. Le grandi pressioni a cui veniva sottoposta la NASA furono forse la causa di uno dei più grandi disastri in ambito spaziale: l’esplosione dello Shuttle Challenger nel 1985, che portò alla morte dei sette membri dell’equipaggio. I sovietici si posero intanto all’avanguardia nello sviluppo delle stazioni spaziali e nello studio degli effetti dei voli a lunga durata, lanciando la prima stazione spaziale, la Saljut-1, nel 1971, anche se per via di numerosi incidenti che impedirono agli equipaggi di salirne a bordo, tra cui uno mortale, solo nel 1974 degli astronauti riuscirono a trascorrere un periodo a bordo di una stazione, la Saljut-4, e tornare a terra con successo. Per raggiungere le stazioni in orbita i sovietici facevano uso dei veicoli spaziali Sojuz, progettati negli anni ’60 e utilizzati ancora oggi. I veicoli Sojuz venivano spinti dagli omonimi lanciatori, anch’essi ancora impiegati. Ancora oggi, per mancanza di fondi, l’unico modo per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale da parte di astronauti di qualsiasi nazione è di venir lanciati da veicoli Sojuz dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan. I Sojuz risultano la tipologia di lanciatore più frequentemente usata e più affidabile al mondo. La prima stazione spaziale americana fu lo Skylab, lanciato nel ’73 e realizzato con parti destinate al vecchio programma lunare, in modo da rendere il progetto più economico. A bordo dello Skylab, come anche nelle altre stazioni spaziali, furono effettuati test medici sugli effetti dell’assenza di gravità ed esperimenti su possibili attività industriali nello spazio. Le stazioni offrirono anche la possibilità di compiere osservazioni scientifiche del Sole, delle altre stelle e della superficie terrestre. Nel 1975 il mondo assistette a un gesto di cooperazione senza precedenti tra Stati Uniti e URSS: le navicelle spaziali Apollo e Sojuz si incontrarono nello spazio, permettendo agli astronauti sovietici e americani di riunirsi e lavorare insieme. Per più di un decennio i sovietici portarono migliorie alle stazioni spaziali e alle navette Sojuz, stabilendo sempre nuovi record di permanenza.
Il periodo più buio per la NASA fu quello che seguì il disastro del Challenger. Il concetto di Shuttle come elemento capace di attirare i finanziamenti delle attività commerciali era finito, esso si sarebbe occupato di carichi appositamente progettati o militari. Inoltre anche due lanciatori tradizionali esplosero durante il lancio, in questi casi senza vittime. Il lancio dell’enorme e costoso telescopio spaziale Hubble, avvenuto dopo ritardi nel 1990 tramite uno Shuttle, avvenne tranquillamente, ma il progetto stava per mettere fine ai finanziamenti per la NASA: un piccolo difetto nello specchio del telescopio produceva distorsioni nelle immagini ottenute, rendendo lo strumento praticamente inutile. Fortunatamente una serie di coraggiose missioni con equipaggio portò alla riparazione del telescopio, che si rivelò infine uno dei maggiori successi scientifici dell’era moderna, risollevando il morale della NASA, la sua immagine pubblica e provando l’importanza dello Shuttle per il lancio e la manutenzione dei satelliti. Nel 1986 i sovietici misero in orbita la prima stazione spaziale modulare, la Mir, che aveva appunto la possibilità di aggiungere nuovi componenti a quelli originali. Furono infatti aggiunti un osservatorio di astrofisica e diversi laboratori per ricerche scientifiche su più campi. La Mir ospitò anche astronauti americani. L’URSS, che si trovava in una condizione economica non favorevole, fu obbligata a vendere viaggi verso la Mir (ad esempio al Giappone) per bilanciare le spese del programma spaziale. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, alla fine del 1991, gli stati eredi erano determinati a portare avanti il programma, ma i fondi non erano sufficienti. Le cose non andavano meglio negli Stati Uniti, dove il progetto per la nuova stazione spaziale Freedom venne abbandonato. Per questo motivo venne creato un consorzio, nato inizialmente tra Stati Uniti, Canada e Giappone e poi esteso ai paesi membri dell’ESA e alla Russia, con l’obiettivo della costruzione e messa in orbita della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). La cooperazione tra i due vecchi nemici, USA e Russia, portò vantaggi economici e politici: gli americani poterono risparmiare notevolmente utilizzando le strutture russe e dimostrarono al mondo che i rapporti con l’ex-nemico erano diventati amichevoli. L’occupazione permanente della ISS avvenne a partire dall’ottobre del 2000 e continua ancora oggi. La stazione rappresenta la più straordinaria costruzione esistente ed è un simbolo della cooperazione internazionale in nome del progresso. Al contempo la comunità scientifica ha ottenuto conquiste scientifiche notevoli, che hanno rivoluzionato diversi settori delle scienze, attraverso l’uso di sonde spaziali, satelliti e mezzi robotici tutti privi di pilota umano che si sono spinti fino ai limiti del sistema solare ed oltre: la sonda New Horizons, ad esempio, ci ha fatto vedere per la prima volta Plutone e la sonda Voyager 2, lanciata nel 1977, sta raggiungendo per la prima volta lo spazio interstellare, lasciando appunto il sistema solare. I satelliti in particolare rappresentano, in campo aerospaziale, una delle principali fonti di guadagno e investimenti, per il loro grande interesse da parte dei privati. Attualmente più di 2000 satelliti sono in orbita intorno alla Terra. I privati hanno da sempre accompagnato gli enti statali nella corsa allo spazio, da una parte perché questi ultimi hanno avuto bisogno dei privati per la realizzazione delle varie strutture e mezzi necessari, dall’altra perché i costi del volo spaziale, elevatissimi, attirano da sempre l’attenzione di ditte private alla ricerca di un appalto in questo settore. Basta pensare che solo per la produzione del vettore Apollo, il programma lunare da 25 miliardi di dollari, sono state coinvolte più di 300 compagnie private. Negli ultimi anni sono nate vere e proprie compagnie spaziali private, che non solo si occupano di costruire lanciatori e carichi utili (ad esempio satelliti) ma provvedono ai lanci stessi, come fa la SpaceX, fondata nel 2002 da Elon Musk, che è stata la prima compagnia privata a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale grazie alla capsula Dragon ed il vettore Falcon 9, entrambi di sua proprietà. Il lanciatore Falcon 9 è unico nel suo genere: dispone infatti di un primo stadio che può tornare a terra (o su di una nave-drone in mare) rendendone possibile il riutilizzo in missioni successive e tagliando dunque i costi. Tagliare i costi è proprio ciò a cui le compagnie stanno puntando ai nostri giorni; la soluzione proposta dalla SpaceX, la riutilizzabilità, viene studiata ed utilizzata anche dagli altri concorrenti, come la Blue Origin, una compagnia aerospaziale privata creata nel 2000 da Jeff Bezos, fondatore di Amazon. La Blue Origin punta ad un’altra fetta del mercato, quella del turismo spaziale. Il primo turista spaziale fu lanciato dai russi verso la ISS nel 2001 per 20 milioni di dollari.