La teoria della stabilità egemonica mette in relazione l’egemonia di un singolo attore internazionale, uno Stato di solito, e la diffusione di un ordine economico liberale. L’agente egemone plasma le relazioni economiche internazionali favorendo la creazione di un’economia aperta, che beneficia tutti i partecipanti al sistema. Essa fu proposta inizialmente da Kindleberger nel 1973, e fu poi sviluppata da R. Gilpin nel 1987.
Il succo della teoria
La teoria della stabilità egemonica si basa sull’assunto che più il gap tra il Paese egemone e le altre potenze è elevato, più il sistema internazionale è stabile. Inoltre, sostiene il primato della politica sull’economia. Tuttavia la teoria accoglie un importante elemento liberale, cioè l’estensione dell’economia di mercato.
Secondo Robert Kehone, teorico liberale, affinchè lo Stato egemone possa rivestire il suo ruolo esso deve possedere una potenza militare molto superiore agli altri Paesi, in modo da avere il potere di fare da giudice nel caso di conflitti. Per i teorici della stabilità egemonica, il ruolo dello Stato dominante è fondamentale per mantenere il mercato aperto. Infatti è sempre necessario affrontare il pericolo del free riding, cioè la tentazione di ogni Paese di attuare politiche protezioniste, con l’illusione di trarne vantaggio, finendo però per innescare una reazione a catena. Ciò corrisponde al classico modello della teoria dei giochi definito Dilemma del Prigioniero, nel quale un attore ha il massimo risultato nel momento in cui defeziona mentre tutti gli altri cooperano, si tratta però di una situazione che non può mai durare. In questo senso, è necessario un ente che abbia il potere di intervenire prima dello scoppio di una guerra commerciale, che spesso finisce per danneggiare, in misure diverse, l’interesse di tutti i Paesi coinvolti.
Le 5 funzioni dell’egemone in modo da stabilizzare l’”infrastruttura economica internazionale” sono:
- Mercato aperto per le merci in difficoltà
- Prestiti a lungo termine anti-ciclici
- Sistema relativamente stabile di tassi di cambio
- Coordinazione delle politiche macroeconomiche
- Prestatore di ultima istanza
La teoria nella storia
Un classico esempio storico di questa teoria è rappresentato dalla Gran Bretagna di fine ‘800, in quanto era una potenza commerciale globale che beneficiava dell’economia aperta basata sul libero scambio. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il collasso dell’impero britannico andò di pari passo con il regresso dell’economia internazionale. Proprio il declino di Londra e l’indisponibilità americana a farsi carico dei diritti e doveri dell’egemone produssero un’instabilità nel periodo tra le due guerre, che si proiettò sull’economia reale e sulla politica. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti, perlomeno su metà del pianeta, divennero i nuovi garanti del libero mercato.
Da un lato gli americani favorirono la creazione di una serie di istituzioni economiche internazionali dove imperasse il “Washington Consensus”: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE). Dall’altro si optò per il cosiddetto gold exchange standard, basato sui cambi fissi tra valute agganciate al dollaro, a sua volta agganciato all’oro. Nasce così il sistema di Bretton Woods, strettamente dipendente dall’egemonia liberale americana. Dopo il crollo di Bretton Woods, negli anni ’70, il dibattito si è aperto tra chi riteneva che la potenza economica americana fosse in declino, rischiando di trascinare con sé l’intera impalcatura economica internazionale, e chi sosteneva che gli USA fossero ancora dominanti ed in grado di continuare a plasmare il volto economico globale.
Il dibattito accademico ha messo in discussione la teoria della stabilità egemonica nella sua forma più “pura”. In particolare si è analizzato il ruolo delle grandi potenze, la cui partecipazione attiva è necessaria per il mantenimento dell’economia liberale, e si è discusso dei regimi internazionali, i quali sono stipulati non tanto grazie ad un egemone, ma proprio per i vuoti creati da esso. Infine Robert Kehone ha sostenuto che l’egemone è indispensabile per la creazione dell’infrastruttura economia internazionale aperta, ma una volta che le istituzioni internazionali sono state avviate, il sistema può reggere da solo.
La fine dell’egemonia
Inevitabilmente tutte le egemonie finiscono. Robert Gilpin riassume il perché ciò succede in 5 assunti:
- Un sistema internazionale è stabile se nessuno ha interesse al mutamento
- Uno sfidante tenterà di ribaltare l’egemonia solo se i benefici attesi superano i costi
- Lo sfidante tenterà il mutamento internazionale fino a quando i costi marginali di un ulteriore cambiamento non eguagliano i benefici marginali
- I costi economici del mantenimento del sistema crescono più rapidamente della capacità dell’egemone di sostenere il sistema stesso
- Se si protrae lo squilibrio, il sistema “eleggerà” un nuovo egemone riflettendo una differente redistribuzione di potere
Dunque, in particolare il quarto punto spiega il perché dell’inevitabile fine dell’egemonia. Dopodiché avverrà una transizione di potere, plausibilmente in modo violento, che porterà al mutamento del sistema. La storia come successioni di ordini egemonici sul pianeta o su parte di esso. Sono le <<solite, dannate cose che si ripetono senza fine>> (Layne, 1994).