Tobin Tax è detta un’imposta sulle transazioni finanziarie che prende il nome da James Tobin, economista statunitense allievo di Keynes. Tobin si è laureato ad Harvard nel 1936, insegnò a Yale negli anni 50’ e vinse il premio Nobel per l’economia nel 1981. L’idea della tassa sulle transazioni finanziarie (valutarie) nasce nel 1972 con lo scopo di rendere più stabile e controllabile il mercato finanziario. I principi che l’economista statunitense riteneva essenziali per “gettare qualche granello di sabbia negli ingranaggi di un sistema finanziario internazionale eccessivamente efficiente”, erano tre
- Aliquota compresa tra lo 0.1% e l’1%
- Tassazione solo sulle transazioni valutarie
- Tassa uniforme a livello globale
Nel corso della storia la Tobin Tax è stata applicata solo in Svezia, nel 1984, e più tardi in Ungheria ed in Italia, a partire dal 2013. In tutti questi scenari, i principi posti dall’economista statunitense non sono stati rispettati.
Il caso svedese
La Svezia ha introdotto la tassa sulle operazioni finanziarie nel 1984. L’aliquota era dello 0,5% e gravava sulle transazioni che avevano per oggetto azioni e stock option. Nel 1986 l’aliquota è stata aumentata e la tassa estesa anche sulle obbligazioni. Le conseguenze di queste misure sono state fallimentari: svalutazione degli assets, aumento del debito pubblico, fuga di capitali e ridimensionamento del gettito stimato. Nel 1990, circa il 50% delle operazioni sui titoli svedesi avveniva da Londra. Nel 1992 la tassa è stata eliminata.
La tobin tax in Italia
Nel 2011 l’Europa, tramite una direttiva comunitaria, ha invitato gli Stati ad adottare un sistema comune di tassazione sulle transazioni finanziare. I motivi alla base di questa decisione erano la disincentivazione di operazioni troppo speculative, contribuire ai costi della crisi ed armonizzare la tassazione in ambito finanziario in tutta l’Unione Europea. Tra gli 11 paesi aderenti alla direttiva, l’Italia è stata l’unico nel 2012 – con il governo Monti – ad introdurre la Tobin Tax. Entrata in vigore a partire da marzo 2013, la tassa viene applicata negli scambi di azioni italiane e di derivati con sottostanti prodotti (indici o azioni) italiani. In riferimento alle azioni, vengono tassate solo operazioni multiday, riguardanti azioni emesse da società residenti nel territorio italiano con una capitalizzazione maggiore di 500 milioni di euro. L’aliquota è dello 0,10% del controvalore scambiato ed è applicata solo in fase di acquisto. In caso di vendita allo scoperto la tassa verrà pagata al momento della chiusura della posizione (riacquisto).
La legge esonera dal pagamento della Tobin Tax le seguenti operazioni:
- Fondi, Sicav, ETF, ETC, obbligazioni, valute (forex)
- Trasferimenti per successioni e donazioni
- Attività di market making
- Tutte le operazioni sui mercati esteri, ad eccezione di quello francese e di azioni di società italiane con capitalizzazione maggiore di 500 milioni di euro
- Operazioni infragruppo
- Assegnazione titoli o altri strumenti partecipativi a fronte di distribuzioni utili o riserve, e l’assegnazione azioni di nuova emissione per piani di stock option.
Nel 2012 si era stimato un gettito di circa 1,2 miliardi di euro, ma i risultati negli anni a seguire sono stati ben diversi. Nel 2013 sono stati incassati solo 260 milioni (per 10 mesi), nel 2014 appena 400 milioni, nel 2015 invece non più di 470 milioni.
Critiche
Nella scena politica e finanziaria italiana non sono mancate le critiche nei confronti della tanto discussa tassa. La Tobin Tax, così come oggi è applicata, è ben diversa dal quella che James Tobin aveva ideato. Le caratteristiche di universalità e uniformità sono essenziali affinché non vi sia alcun vantaggio per una società (o un soggetto privato) nell’operare in un paese piuttosto che in un altro. Questo invece non è affatto impedito con la norma in vigore. Come molti operatori finanziari hanno denunciato, i grandi players esteri (fondi, banche d’investimento) non avendo sede in Italia non pagano alcuna Tobin Tax, di conseguenza la vera speculazione aggressiva non viene intaccata. A tutto ciò si aggiunge l’esiguo gettito e la diminuzione dei volumi su Borsa Italiana.
Interessante è la tesi rilanciata più volte – anche in parlamento – dall’APRIMEF (Associazione Piccoli Risparmiatori e Investitori sui Mercati Finanziari), riguardante la relazione liquidità-volatilità nella situazione attuale. L’inserimento della Tobin Tax porta, secondo questa visione, diversi investitori ad abbandonare il mercato azionario, con la conseguenza diretta della diminuzione di liquidità. Meno operatori nel mercato e meno liquidità fanno innalzare la volatilità, chi trae vantaggi in uno scenario simile sono i grandi fondi e le banche di investimento, e non certo i piccoli risparmiatori.
Infine non possono essere sottovalutate le conseguenze dell’imminente Brexit. Con tante istituzioni finanziarie in fuga da Londra, se Milano vuole davvero candidarsi come porto sicuro per chi abbandonerà la City la Tobin Tax non rappresenta un bel biglietto da visita.