Quando si pensa all’Alaska non si può non pensare, oltre al freddo caratterizzante la regione, alla ricchezza di risorse energetiche ed oro. Ma una volta si credeva che in Alaska non ci fosse nient’altro che ghiaccio, tant’è che al momento dell’acquisizione della regione in molti accusarono Andrew Johnson, l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, di «sprecare le risorse del Paese per comprare ghiaccio per il suo amato whiskey».
La scoperta dell’Alaska è attribuibile all’esploratore russo Seme Dezhnec nel 1648, anche se solo nel 1784 fu fondata la prima colonia da parte di Grigorij Selichov. Quindici anni più tardi venne fondata la Compagnia Russo-Americana (RAC) per sfruttare economicamente quella macro-area accontentandosi delle pellicce di lontra, molto richieste sul mercato: ancora non si era a conoscenza della vera ricchezza di quelle terre. Nella capitale Novo-Arkhangelsk, nota con il nome di Sitka, si commerciavano il tè ed i tessuti con i cinesi e il ghiaccio di cui gli USA avevano bisogno prima dell’invenzione del frigorifero.
Il principale governatore della RAC era Alexander Baranov, sotto la cui guida i profitti della Compagnia crebbero oltre il 1000%. Quando si dimise, il luogotenente Hagemeister prese il suo posto e sostituì le cariche più importanti con nuovi impiegati e azionisti provenienti dagli ambienti militari. Le loro azioni portarono alla rovina dell’azienda.
Si stima che nel 1867 ci fossero tra i 2 e i 3 mila russi su un totale di 10 mila abitanti sotto l’autorità diretta della Compagnia, ai quali vanno aggiunti almeno 80 mila eschimesi, non raggiunti dall’amministrazione coloniale.
Quello stesso anno fu concluso l’accordo di compravendita del territorio attuale dello Stato federato dell’Alaska tra il Segretario di Stato Usa William Seward e l’Impero russo per la cifra simbolica di 7,2 milioni di dollari. Una cifra vicina ai 5 dollari al chilometro quadro, un vero affare si direbbe. Utilizzando un calcolatore di inflazione, si stima che la cifra corrisponde a circa $125 milioni di dollari attuali.
Se non fosse per le molte voci secondo cui l’accordo non fu un vero atto di vendita ma soltanto di affitto del territorio per un periodo variabile tra i 100 e 150 anni; tuttavia dopo la Rivoluzione d’Ottobre tutti i Trattati internazionali vennero dichiarati non validi e la regione divenne di proprietà americana. I documenti di compravendita in possesso degli americani furono secretati, motivo per il quale ancora oggi è dibattuta la legittimità del territorio.
Nel 2015 sulla pagina della Casa Bianca era possibile trovare una petizione sulla restituzione dell’Alaska ai russi, la quale è stata poi cancellata. La consegna avvenne nella capitale Novo-Arkhangelsk, che fu ribattezzata Sitka poco dopo. I russi che risiedevano in quel territorio e che non chiesero la cittadinanza americana furono rimpatriati nel loro paese d’origine.
L’acquisto dell’Alaska ribadiva la dedizione americana ai concetti espressi nella Dottrina Monroe del 1823, secondo la quale non sarebbe stata tollerata alcuna intromissione negli affari del territorio americano da parte delle potenze del vecchio continente, ad eccezione delle colonie americane già di proprietà europea. Tale Dottrina fu considerata la prima formulazione teorica dell’imperialismo statunitense.
Alla fine del XIX secolo furono scoperti dei giacimenti auriferi, che avviarono la corsa all’oro e il popolamento dello Stato più a nord del continente americano. La scoperta di importanti giacimenti petroliferi fece sì che vi fosse una forte crescita economica del territorio durante gli ultimi decenni, a dispetto delle dure condizioni di vita. Attualmente l’economia dell’Alaska è dominata dallo sfruttamento intensivo delle riserve di petrolio (che coprono il 23% del fabbisogno nazionale) e gas naturale e dall’industria della pesca.
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