“Ho capito che nella vita non occorre sbattere tanto sai, per essere felici. Basta accettarla così come viene.”
Una frase di grande lucidità quella pronunciata da Paolo Villaggio, scomparso poco tempo fa, che tra
gli anni ’70 e ’90 creò il mito del ragioniere Ugo Fantozzi. Icona della comicità italiana ed europea, Fantozzi è stato un personaggio di grande impatto, espressione della più grande metafora della mentalità italiana e dell’approccio della maggioranza al mercato dopo il boom economico degli anni ’60.
Le grandissime sventure che imperversano nella vita del ragioniere, interpretato e creato da Villaggio, sono la rappresentazione di un mondo nel quale le persone sono succubi del destino ed in cui la possibilità di cambiare la propria condizione sembra irraggiungibile. Il comico ritrae con lucidità l’immagine di una società segnata dal divario insormontabile fra vincenti e perdenti, o meglio, i datori di lavoro ed i dipendenti. L’emblematica routine del Fantozzi rappresenta l’individuo che non è soddisfatto di quel che fa e non perde occasione di mostrarlo, in un monotono, rassegnato e meccanico approccio alla vita, dove la possibilità di rendersi indipendenti sembra non esistere. Paolo Villaggio definì il suo ragioniere come l’uomo che nessuno vorrebbe essere ma che alla fine rappresenta la maggioranza delle persone, schiave di una quotidianità che non sopportano ma senza la capacità e la voglia di uscirne.
Crisi economica, riforme pensionistiche e ristrettezze nei prestiti, portano molti italiani ad approcciarsi al
mondo lavorativo con la stessa tendenza di 30 anni fa. Il rischio di fare impresa viene da pochi preso in
considerazione, tanto da arrivare alla provocazione di Enzo Briatore quando ha commentato che “gli italiani preferiscono stare al sicuro a casa a mangiare lo spaghetto con la mamma la domenica”. D’altra parte, un paese con un debito stimato in 2.278,9 miliardi di euro nel mese di maggio, in aumento di 8,2 miliardi rispetto al mese di aprile, in cui la disoccupazione giovanile oscilla tra il 30-40% e con prospettive lavorative poco incoraggianti rende davvero facile sposare l’ideologia fantozziana.
In Italia il rapporto nei confronti del mondo lavorativo trova delle spaccature interne, che portano a poter distinguere due categorie di persone
-coloro che cercano di cambiare l’identità internazionale italiana, cavalcando l’onda dei successi milionari di
startup, diventate vere e proprie icone, mostrando come l’approccio al lavoro possa davvero subire
un’inversione di marcia
-quelli che preferiscono sposare un’ideologia fantozziana adattata ai nuovi schemi, prediligendo ruoli non
eccessivamente di rilievo, ma che garantiscano una futura sicurezza economica, in un Paese pervaso da
quasi 10 anni da una crisi che sembra non avere termine.
Un’ Interessante parentesi inoltre è una recente indagine in cui si è rilevato che la percentuale dei Neet
(giovani che non hanno e non sono in cerca di un impiego e che non frequentano alcuna scuola o corso) è
aumentata al 20%. L’interrogativo a questo punto consiste nel capire se il futuro italiano medio possa ancora sposare la tranquillità e la costanza dell’ideologia del timbrare il cartellino oppure tentare l’imprevedibilità e
l’incertezza del percorso imprenditoriale.