Lo scorso 3 ottobre il Parlamento europeo ha bocciato l’andamento delle trattative sulla Brexit, ritenendo insufficienti i progressi sui diritti dei cittadini e sugli obblighi finanziari del Regno Unito. L’uscita dall’Unione europea non ha avuto soltanto un forte peso politico ma anche devastanti effetti economici, dalla svalutazione della sterlina del 16% nei confronti del dollaro dal giugno 2016, fino alla riduzione della crescita del PIL (dallo 0,6% allo 0,2%) così come del reddito disponibile per le famiglie.
Ma la conseguenza che spaventa maggiormente l’economia di Sua Maestà è la fuga delle maggiori imprese, le quali temono di vedersi tagliate fuori da una larga fetta di mercato a causa del venir meno del regime di libera circolazione dei servizi e delle merci. Il settore bancario ne è un caso eclatante. L’impossibilità di usufruire del principio del mutuo riconoscimento sul mercato finanziario, e quindi di ampliare notevolmente il volume d’affari, ha portato alcune delle banche più importanti del mondo con sede legale nel Regno Unito ad avviare le pratiche per trasferirsi altrove.
Jp Morgan
Prima del referendum il CEO Jamie Dimon aveva preannunciato la possibilità di trasferire oltre 4.000 banker londinesi del gruppo. Successivamente ha ritrattato affermando di voler attendere lo sviluppo delle trattative e la futura cornice legislativa sia in Gran Bretagna che in Europa. Tuttavia, il CEO della divisione Corporate & Investment Bank, Daniel Pinto, in un’intervista ha sottolineato l’intenzione del colosso americano di voler trasferire centinaia di dipendenti nei propri uffici di Dublino, Francoforte e Lussemburgo.
Goldman Sachs
Anche Goldman Sachs, nell’attuale scenario di incertezza sugli esiti delle trattative, ha confermato che trasferirà parte dei suoi dipendenti londinesi verso una sede nel continente europeo, nel timore di non vedere riconfermate le stesse condizioni per il settore finanziario britannico di cui gode ora. Il CEO Lloyd Blankfein ha dichiarato che «Il ruolo di Londra come capitale finanziaria globale potrà diminuire a causa della Brexit» e ha annunciato che Goldman Sachs potrebbe trasferire fino a 2.000 dipendenti, distribuendoli fra Francoforte, Dublino e forse New York.
Morgan Stanley
Anche la strategia post-Brexit di Morgan Stanley prevede Francoforte come nuova meta per il centro della sua attività nell’UE. La banca americana si è rifiutata di rilasciare dichiarazioni ufficiali in merito ma una fonte interna ha confermato il piano di trasferimento di circa 200 dipendenti, andando quindi a rafforzare una presenza già affermata nella capitale della finanza tedesca. Per non rimanere esclusa dal mercato dei capitali, Morgan Stanley necessita di un centro d’affari dotato di un proprio capitale e di un assetto di risk management anche all’interno dell’Unione europea. Nonostante l’ufficio di Londra rimanga il quartier generale europeo della banca d’affari, il progetto di Francoforte è destinato a crescere.
HSBC
Stuart Gulliver, CEO di HSBC, banca britannica di diritto ma asiatica di fatto, ha già dichiarato che porterà fuori da Londra, e più precisamente a Parigi, circa un quinto dei ricavi del trading generato nel Regno Unito e molto probabilmente anche 1.000 dipendenti.
Sembra quindi che i giganti della finanza abbiano fiutato uno scenario in cui Londra non riuscirà ad aggirare la perdita del passaporto europeo con accordi ad hoc euro-britannici. Infatti l’obiettivo dei negoziati è quello di tutelare l’interesse dell’industria finanziaria, rafforzando gli accordi di equivalenza che consentono ai gruppi regolati fuori dall’UE di operare nell’Unione. Tuttavia non sembra una soluzione che garantisca sicurezza, dal momento che rimane esposta alle soluzioni che i Ventisette decideranno di introdurre.
Se le mete più ambite sono Francoforte, Dublino e Parigi, il Financial Times boccia Milano come possibile erede della City. Il motivo risiede purtroppo nell’alto costo del capitale, dovuto all’instabilità politica del nostro paese e all’elevato carico debitorio, una persecuzione che condanna la capitale della finanza italiana a rimanere poco appetibile.