Con il termine smart working si fa riferimento ad una nuova dimensione del lavoro, una riorganizzazione degli orari e dei modelli organizzativi che deriva dall’evoluzione tecnologica e culturale del sistema economico.
Lo smart working permette di svolgere le attività professionali lontano dal posto di lavoro, il che è reso possibile dalla tecnologia. Il dipendente smart gode di discrezionalità in termini di spazio, orari e strumenti utilizzati, a contare è solo il risultato finale. La flessibilità di questo sistema consente al lavoratore di avere una produttività maggiore, migliori prospettive professionali, migliore equilibrio tra gli orari lavorativi e la vita privata. Quest’ultimo aspetto è stato però contestato in una recente indagine di Eurofound, nella quale figuravano di fatto orari di lavoro spalmati in 6 -7 giorni alla settimana, il che non rende la vita dello smart worker così facile come potrebbe sembrare. Le prime ad approcciarsi a questa nuova frontiera del lavoro sono state le grandi imprese. Oggi quelle che più fanno ricorso ad esso sono IBM, Dell e Amazon, passando per LiveOps e Teletech. La caratteristica che accompagna queste realtà è la forte presenza di IT. Non possiamo non menzionare Google, la quale è ritenuta “il miglior posto al mondo dove lavorare” anche grazie alla flessibilità che concede ai suoi dipendenti. Nel 2016 il 30% delle grandi imprese ha dichiarato di aver portato avanti attività strutturate di smart working (nel 2015 erano il 17%), mentre la percentuale scende al 5% nel caso delle Pmi. Alcuni paesi si sono indirizzati verso lo smart working per seri problemi logistici. Il Giappone ha scelto di premiare il lavoro da casa per ridurre gli spazi negli uffici, mentre in Brasile, soprattutto nelle grandi città, i motivi si ricollegano ai lunghissimi tempi di spostamento. Le statistiche premiano i paesi del nord Europa. La Danimarca, con il 37% di lavoratori smart, è il paese europeo nel quale questo nuovo fenomeno si è maggiormente affermato, seguono Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Lussemburgo. Si potrebbe dire che gli Stati Uniti abbiano la stessa percentuale di lavoratori smart della Danimarca, 37%, anche se oltreoceano le modalità di smart working sono diverse dal vecchio continente e meriterebbero un discorso a se stante.
I numeri in Italia
Complici la nuova regolamentazione e i numeri positivi (+40% di impiegati smart rispetto al 2013), il 2016 secondo l’ Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha rappresentato un anno di svolta in Italia. Nel nostro paese sono 250 mila i lavoratori smart, circa il 7% del totale. I numeri sono in crescita ma l’Italia è ancora fanalino di coda in Europa (25° posizione) in cui la percentuale media è del 17%. La figura tipica del lavoratore smart è un uomo con età media 41 anni, residente al nord nel 52% dei casi, nel 38% al centro e solo nel 10% dei casi al sud. La natura del nostro tessuto economico non favorisce il radicarsi dello smart working, ma nonostante ciò grandi imprese come Barilla, Ferrero e Ferrovie dello Stato hanno deciso di puntare sul “lavoro agile”. Barilla ha introdotto il programma già da tempo, ma nel maggio del 2016 ha deciso di raddoppiare le ore di lavoro flessibile concesse, in totale fino a 8 giorni al mese. Secondo le stime dell’azienda, tale operazione permetterà un risparmio di 2.136 euro per dipendente ed un guadagno di 88 ore all’anno per ognuno. Accanto al beneficio economico c’è anche quello ambientale. Barilla ridurrebbe di 665kg all’anno le emissioni di CO2, equivalenti a quella assorbita in un anno da 33 alberi, per ogni impiegato che aderirà al progetto. L’obiettivo dell’azienda è quello di dare la possibilità ai suoi dipendenti di lavorare in modo flessibile il 100% delle ore entro il 2020. La Ferrero, invece, ha annunciato da un mese di voler introdurre un progetto pilota per 100 dipendenti, dando loro la possibilità di lavorare 1 giorno al mese in modo smart. Lo scopo di Ferrero è quello di estendere il programma al resto dei dipendenti in futuro per continuare così il percorso verso la sostenibilità economica ed ambientale. Il progetto di Ferrovie dello Stato è il più recente. Per la fase sperimentale 500 dipendenti potranno usufruire, su base volontaria, da 4 ad 8 giornate di lavoro flessibile. Il direttore delle risorse umane, Mauro Ghilardi, ha dichiarato che la società ha intenzione di introdurre in maniera permanente questa modalità di lavoro.
Indirizzare e aiutare le piccole imprese verso il lavoro flessibile rappresenterà un punto di svolta per i numeri dello smart working in Italia. Ci si augura che anche la pubblica amministrazione possa dare il proprio contributo.