Attualmente la popolazione mondiale è pari a 7,46 miliardi di persone. La questione della divisione delle risorse alimentari e idriche è più accesa che mai; in particolare il cibo e le abitudini ad esso legate sono stati oggetto di studio da parte di molte riviste scientifiche, le quali hanno cercato di capire l’impatto delle scelte alimentari sul consumo di risorse e la loro possibile influenza sull’inquinamento. La rivista scientifica Anset ha indagato sulle correlazioni tra cibo, cambiamenti climatici e salute. In questo report si fa notare come le emissioni di gas serra provocate dal settore zootecnico siano pari al 18% del totale di quelle generate dall’uomo; una percentuale molto preoccupante, poiché supera di gran lunga quella causata dal settore dei trasporti e si avvicina quasi a quella del settore industriale. Anche la FAO nelle ultime conferenze ha sottolineato questo dato importante.
In uno studio condotto in cooperazione tra molte Università del mondo si è giunti a ritenere che non è tanto necessario scegliere i prodotti a “km zero” per limitare l’impatto sull’ambiente, quanto piuttosto preferire i prodotti agricoli rispetto a quelli di derivazione animale. Si è studiato infatti che, in una famiglia media occidentale, se si decide di acquistare solo prodotti locali si arrivano a risparmiare emissioni pari a quelle derivanti da 1600 km di trasporto. Invece, preferendo solo prodotti agricoli rispetto a quelli animali, senza considerare la loro provenienza, si consente un risparmio fino ad otto volte maggiore. Con ciò non s’intende che il km zero si inutile, quanto piuttosto che la scelta del prodotto ortofrutticolo o animale impatta molto più rispetto a quella di un prodotto a provenienza locale. Il problema che ci si pone non è solo quello del danno ambientale, ma anche quello della forte inefficienza dei prodotti zootecnici. Si calcola che in media per ottenere 1 kg di carne servano almeno 15 kg di elementi vegetali di vario genere coltivati appositamente. Ciò vuol dire che si andranno a consumare terreno ed acqua e ci si porrà il problema di smaltire le deiezioni. Queste ultime molto spesso contengono sostanze chimiche e antibiotiche fatte assumere dall’animale precedentemente, per cui non possono assolutamente essere disperse nell’ambiente – cosa che illegalmente accade spesso – ma andrebbero smaltite appositamente. Anche il consumo di risorse idrice non è indifferente. Si calcola che tutta l’acqua consumata da una famiglia media americana in un anno produca solo 5 kg di carne, che alla fine viene consumata mediamente in pochi giorni dalla stessa famiglia. Dunque si è creato un circolo vizioso per il quale gli animali, per essere allevati, richiedono molta acqua; intanto nei paesi sviluppati i consumatori richiedono ancora più carne, generando uno sbilanciamento del rifornimento idrico a scapito dei paesi del terzo mondo. Ben presto sarà impossibile sfamare tutti con questo stile alimentare.
Come si è compreso il largo consumo di carne e di tutti i prodotti zootecnici sta consumando le risorse del pianeta in modo fortemente inefficiente; anche la FAO più volte ha lanciato questo allarme. L’unica soluzione sembrerebbe quella di diminuire il consumo di prodotti animali. Ciò non vuol dire privarsi necessariamente delle proteine animali, andando verso la tendenza attuale del veganismo; sarebbe sufficiente ridurre a 90 grammi il consumo di carne medio giornaliero per persona rispetto ai 224 grammi attuali. Inoltre il settore zootenico, a differenza dell’industria, è l’unico non gravato dai controlli e dalle limitazioni di emissioni di gas nocivi, anche a causa di vere e proprie lobby di allevatori industriali che impediscono ai governi di adoperarsi contro questo grave problema.
Purtroppo con l’aumento della popolazione mondiale le risorse del pianeta devono assolutamente essere utilizzate nel modo più efficiente possibile e, in quest’ottica, attualmente le nostre abitudini relative ai prodotti zootecnici non sono sostenibili.
Gianluigi Seccia