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L’1 Maggio 2018 la Gibson Brands Inc., famosa azienda produttrice di strumenti musicali, soprattutto chitarre, ha presentato istanza di fallimento, aprendo al famigerato Chapter 11 dell’ordinamento americano. L’azienda, che ha 150 milioni di dollari da restituire – ma che secondo CNN e Bloomberg potrebbero in realtà raggiungere quota 500 milioni – ha trovato un accordo con i suoi creditori per la ristrutturazione dei debiti accumulati. Questo, che nei fatti è una conversione debito/equity, permetterà a chi deve vedersi restituito il denaro di acquisire il controllo della compagnia. Gli stessi creditori, poi, erogando un ulteriore prestito di 135 milioni, forniranno la liquidità necessaria a mantenere la Gibson in piedi. La condizione, però, è che vengano dismessi i comparti aziendali poco fruttiferi e che sono stati oggetto di recenti acquisizioni. La società, secondo i piani, rientrerà nel suo core business, ovvero quelle delle chitarre, a cui affiancherà solo parte della strumentazione elettronica (principalmente i diffusori acustici) prodotta negli ultimi anni – e che l’ha portata al fallimento.
La Gibson: una lunga storia americana
La Gibson venne fondata nel 1902 a Kalamazoo, in Michigan, da Orville Gibson. Liutaio nato 44 anni prima nella contea di New York, il signor Gibson era riuscito a costruire un mandolino più resistente del normale e che, soprattutto, poteva essere riprodotto in serie. Tutti i prodotti in vendita, oltre al mandolino, erano il frutto dalla sua abilità artigianale, vista dalla clientela come un segno distintivo di qualità. Nel 1918 il sig. Gibson morì a causa di un’infiammazione alle valvole coronarie, tuttavia questo non determinò la fine o il declino dell’azienda. Nel 1936 la Gibson, sempre attenta alle tendenze di mercato, introdusse la prima chitarra elettrica, il modello “Electric Spanish”, mentre nel 1944 venne acquistata dalla Chicago Musical Instruments (CMI). Il vero successo lo raggiunse però nel Dopoguerra.
All’ascesa della musica country, rockabilly e poi rock ‘n roll seguì inevitabilmente quello delle aziende produttrici di strumenti musicali. Nel 1952 fece il suo debutto sul mercato la chitarra elettrica Les Paul, poi rivenduta secondo i modelli Custom, Standard e Studio. Il successo della Les Paul fu devastante, diventando un prodotto iconico e di massa. Jimmy Page, dei Led Zeppelin, George Harrison dei Beatles, Pete Townshend degli Who, Mark Knopfler dei Dire Straits, Noel Gallagher degli Oasis, Bob Marley (che fu sepolto proprio assieme alla sua Les Paul) e fino ai giorni nostri con The Edge degli U2 e Dave Grohl dei Foo Fighters sono solo i più celebri esempi degli artisti che hanno suonato una Les Paul. Woody Guthrie scrisse proprio su una Gibson il suo messaggio simbolico: «This machine kills Fascists».
L’epoca d’oro della Gibson, però, cominciò a venire meno già nel 1986, quando venne salvata da Henry E. Juszkiewicz, David H. Berryman, e Gary A. Zebrowski. La situazione si stabilizzò fino al 2011, quando il CDA, in particolare Juszkiewicz, decise di mettere in pratica una nuova politica industriale, incentrata sulla diversificazione. In quell’anno la Gibson acquistò la Stanton Group, nel 2013 le quote di maggioranza della TEAC Corporation, nel 2014 il comparto elettronico della Royal Philips. L’obiettivo era quello di entrare in nuove fette di mercato del settore della componentistica musicale, come impianti stereo, cuffiette e strumentazione per DJ. Una politica che, come noto, si è rivelata poco ponderata e lungimirante. Nonostante questo, spiragli per la Gibson ci sono ancora. La compagnia ha infatti il 40% delle quote di mercato per le chitarre elettriche sopra i 2mila dollari, vende oltre 170mila chitarre in 80 Paesi.
Il futuro tra concorrenza e cambiamenti
L’azienda deve la sua difficile situazione alla strategia di diversificazione iniziata nel 2011, che è stata un vero fallimento. Per questa ragione, la Gibson ha dovuto chiudere lo stabilimento di Memphis, mantenendo però ancora quelli di Nashville e Bozeman, ed ha registrato un fatturato in calo – 1.7 miliardi nel 2017. Le cose, però, sarebbero però potute andare ancora peggio. I ricavi infatti sono cresciuti del 10,5%, soprattutto grazie alla Epiphone Les Paul SL, la prima sei corde di qualità prodotta negli Stati Uniti e rivenduta a meno di 100 dollari, che ha trainato il fatturato. I problemi, però, non sono circoscritti alla sola Gibson. Guitar Center, la più grande compagnia di negozi di chitarre negli States, è in seria difficoltà, considerato che ha 1.6 miliardi di dollari di debiti. Anche la Fender, storica rivale della Gibson, ha dovuto rallentare il proprio piano strategico che prevedeva lo sbarco a Wall Street nel 2012, che per il momento è stato accantonato. La crisi del settore è quindi comune a più realtà ed è testimoniata dai dati. Secondo Music Trades, nell’arco degli ultimi 10 anni la vendita di chitarre elettriche negli States è calata di oltre mezzo milione, passando dal milione e mezzo del 2007 a quasi un milione del 2017.