Il terrorismo islamico ha dimostrato da tempo la propria forza distruttiva in Siria. Con la proclamazione dello Stato Islamico ha avuto inizio una vera e propria economia di guerra. L’Isis ha occupato i campi petroliferi e si è trasformato in un vero e proprio colosso finanziario, che si è andato a sostituire all’economia statale di Damasco. Il Califfato ha iniziato ad autofinanziarsi attraverso il contrabbando di petrolio e di opere d’arte, che vengono rimosse dai siti archeologici già praticamente distrutti. I maggiori clienti del contrabbando petrolifero sono la Turchia (Ankara ha sempre negato ) e altri paesi del Medio Oriente, come l’Iraq e la Giordania. E’ stato stimato che la vendita illegale del greggio ha versato nelle casse del Califfato oltre 3 milioni di dollari al giorno fino al 2016, anno in cui si sono intensificati i bombardamenti sulle zone dello Stato Islamico che hanno distrutto vari stabilimenti petroliferi.
Lo Stato dell’economia siriana prima del conflitto
Prima del 2011, anno del conflitto, la Siria risultava essere un modesto produttore ed esportatore di petrolio, anche se a causa del declino della produzione, aveva iniziato a sviluppare altri settori economici. Le principali risorse erano, oltre al petrolio, il gas e il fosfato che, insieme al settore agricolo, rappresentavano il 21% del Pil. Il turismo, fino al 2011, rappresentava anch’esso una risorsa fondamentale per l’economia siriana, quando entravano annualmente 5 milioni di turisti interessati soprattutto a visitare le zone archeologiche, come Palmira o le città di Damasco e di Aleppo. In quell’anno, le entrate provenienti dal turismo ammontavano a 1,816 miliardi di dollari. Prima della guerra stavano acquisendo sempre maggior peso i servizi finanziari (nel 2009 la Borsa di Damasco aveva iniziato ad operare dopo 46 anni di chiusura), le telecomunicazioni e il commercio. L’economia siriana, prima del crollo, era strettamente legata all’Urss, mentre negli anni novanta si è era iniziato un processo di liberalizzazione e privatizzazione. Il settore bancario siriano ha iniziato il suo sviluppo solamente nel 2004, quando ha aperto i battenti la prima banca privata, seguita poi da altre negli anni successivi; anche se la Banca Centrale Siriana ha vincolato i budget e le strategie imprenditoriali dei settori bancari privati, mantenendo una forte impronta statale e centralizzata su tutto il comparto bancario. Nel settore petrolifero la compagnia di stato manteneva il controllo su circa la metà della produzione nazionale, anche se investimenti esteri, tra cui la Shell e la cinese CNPC, furono fondamentali per incrementarla. Il Paese, prima del 2011, aveva attirato meno investimenti rispetto agli altri dello scacchiere medio-orientale. Infatti aveva ricevuto, nel maggio del 2010 dagli USA, lo status di Osservatore della World Trade Organization (WTO). Nonostante tutto l’economia siriana aveva retto alla recessione globale del 2009, registrando una crescita del 4% nell’anno successivo. Il sistema economico era sostanzialmente chiuso prima della guerra, però si erano stretti rapporti commerciali con i vicini Iraq, Turchia, Libano ed Egitto ma anche con la Cina e con i paesi dell’Unione Europea, Italia e Germania in primis, con un’interscambio commerciale pari a 5,4 miliardi di dollari ( pari al 23 percento del commercio totale siriano).
Gas, Petrolio e modernizzazione infrastrutturale
Prima del conflitto la Siria produceva quantità modeste di petrolio, 400.000 barili al giorno nel 2009, crollati poi a 20.000 unità nel 2013 a causa dei conflitti. Si trattava di una produzione esigua rispetto ai paesi del Golfo, che costringeva la Siria a importare petrolio dalle nazioni della penisola arabica. Per limitare nel futuro le importazioni, lo stato aveva previsto di aumentare la propria produzione di gas, avendo a disposizione riserve da quasi 280 miliardi di metri cubi. C’è da ricordare che La Siria è in una posizione strategica per il transito dei gasdotti, questo vantaggio gli avrebbe potuto concedere enormi benefici. Nel 2008 venne aperto in Siria il collegamento dell’Arab Gas Pipeline, che partiva dall’Egitto. Inoltre erano previsti progetti, bloccati a causa del conflitto, per il rafforzamento delle cooperazioni nella regione, con l’espansione dei gasdotti verso Turchia, Iraq e Iran. Nel 2009 venne ratificato con Ankara un accordo per aprire la sezione Turchia-Siria dell’Arab Gas Pipeline che avrebbe dato alla Siria la possibilità di importare quasi un miliardo di metri cubi di gas. L’obiettivo principale della Siria era quello di diventare uno stato di transito per la maggior parte del gas iracheno,egiziano,iraniano e per l’Azerbaigian, portando maggiori entrate e aumentando la propria disponibilità di gas. Il lento processo di modernizzazione del comparto industriale, economico e infrastrutturale, iniziato prima del 2011, è stato però ovviamente interrotto, e in alcuni casi, letteralmente distrutto dalla guerra.
Quanto costerà la ricostruzione?
Secondo la commissione ONU per gli affari economici e sociali per l’Asia Occidentale, le spese per la ricostruzione supererebbero gli 80 miliardi di dollari, di cui solamente 28 sono previsti per la realizzazione di 1,2 milioni di case dotate di adeguate infrastrutture. La ricostruzione comporterebbe enormi problemi per quanto riguarda le materie prime. Si dovrebbero infatti utilizzare quasi 30 milioni di tonnellate di cemento ogni anno, tre volte di più delle quantità prodotte dalla Siria prima del conflitto. Inoltre, per la produzione di quest’ultimo, servirebbero più di un miliardo di metri cubi d’acqua, una risorsa preziosa ma che scarseggia nel paese. Secondo il report del 2013 condotto dal Carnegie Endowment for International Peace, le infrastrutture e le strutture industriali siriane sono inutilizzabili. Secondo la stima del vice premier siriano Qadri Jamil, i danni alle infrastrutture ammontano invece a quasi 100 miliardi di dollari.