Il mercato segue dei meccanismi propri che con l’avvento del capitalismo sono sempre più stati lasciati a se stessi. La concezione secondo cui l’ideale sarebbe lasciar agire questi meccanismi in maniera spontanea è detta liberismo. Si deve fare attenzione a non confondere il liberismo con il liberalismo e nemmeno ci si deve ingannare a credere che il secondo sia parte integrante del primo. La teoria liberale è riferita alla politica, quella liberista al sistema economico.
Il liberismo nasce in grembo alla teoria liberale, con il lavoro di autori come Adam Smith. Non è da trascurare che questa concezione risale proprio ad un periodo, il XVII secolo, in cui la distinzione fra gli oggetti di studio dell’economia e della politica ancora non era delineata. Dunque, il liberismo si origina dall’ottica dei primi teorici liberali, che proponevano le così dette libertà negative, ovvero date dal non impedimento ad agire da parte del potere politico, pur entro i limiti del diritto individuale. Il tutto si fonda sul postulato secondo cui un uomo per esprimersi, quindi avere la possibilità di realizzarsi ed essere felice, ha prima di tutto bisogno di essere libero. Questa libertà deve finire dove comincia quella del prossimo, come dirà Mill nel XIX secolo. Già in Locke, l’autorità politica ha solo il compito di difendere la Proprietà di ogni cittadino – intendendo con Proprietà l’integrità fisica, la libertà di azione ed i beni posseduti. Qualunque azione che vada contro la Proprietà di un individuo, senza che abbia violato la legge, è illegittima e gli dà il diritto di difendersi e resistere, anche contro l’autorità. Locke, tuttavia, non può essere detto liberista come lo scozzese Smith. Infatti, per Locke si ha diritto a possedere solo i beni che si ottengono con il proprio lavoro ed è necessario che ce ne siano per tutti, che siano equamente distribuiti. Nel quadro del filosofo inglese sarebbe inaccettabile l’idea di un operaio che lavora per produrre, in una catena di montaggio, non possedendo in nessun modo le macchine che utilizza ed il prodotto del lavoro. Quindi si introducono per necessità delle libertà positive, ovvero delle norme atte a fare in modo che tutti siano effettivamente liberi ed indipendenti.
Il liberismo classico nasce, si sviluppa e si regge sulla teoria della Mano Invisibile, elaborata da Smith e che svolge un ruolo cardine in tutto il suo pensiero. Sebbene famosa in quanto riferita al mercato, la Mano Invisibile è a fondamento di buona parte del pensiero complessivo del filosofo liberale scozzese. Questa consiste nella tesi secondo cui i meccanismi spontanei, sia nel mercato che nella società, se lasciati a se stessi e non influenzati dal potere tenderanno in maniera naturale a portare equilibrio nel sistema in esame, ovvero renderlo più equo e giusto con il procedere del tempo. Nel quadro in cui tale tendenza è reale, il liberismo economico è compatibile con il liberalismo politico. Questa mentalità diventerà dominante, fino a raggiungere il suo apogeo fra fine del XIX secolo e la prima metà del XX, pur non in maniera omogenea. Tuttavia, questa ha finito per portare allo sviluppo di una forte ingiustizia sociale, tanto da condurre all’affermazione di movimenti rivoluzionari anti-liberali ed altri comunque fortemente critici verso il liberalismo classico. In effetti, a posteriori non si può negare che le previsioni di Smith sono state errate e che la teoria della Mano Invisibile è in realtà non valida. Questo conduce ad un importante implicazione, ovvero che il liberalismo ed il liberismo sono nella pratica incompatibili.
Il liberismo, nella sua forma pura, implica un sistema economico non regolato, senza alcun intervento da parte dello stato. Dopo lo sfruttamento degli operai, oltre che per la paura dello spettro rivoluzionario, è diventato evidente come fosse necessario che il potere politico tornasse ad essere in parte presente ed agire all’interno del mercato, per contenere la formazione di squilibri socio-economici. Le prime svolte e, si può dire, l’inizio del declino della teoria liberale-liberista classica in occidente, si sono avute negli anni ‘60 del ‘900, quando sono state fatte le prime riforme sociali. Il liberalismo, nella seconda metà del XX secolo, si è evoluto eliminando dal suo interno il liberismo, almeno a livello teorico, in una forma della quale il maggiore esponente è stato senz’altro il filosofo politico americano John Rawls. Nella teoria liberale moderna lo Stato deve intervenire con il fine di difendere e preservare la libertà individuale dei cittadini, il che implica la necessità di un considerevole intervento di controllo sul mercato. La libertà economica resta solo in funzione della libertà delle persone.
Il neoliberismo è quell’orientamento che sostiene un mercato privo di regole pur facendo a meno degli argomenti liberali. In verità questo ha più che altro corrispondenza in atteggiamenti politici e non ha una base teorica davvero solida. I sostenitori del neoliberismo oggi sono da inquadrare come sostenitori di un sistema di potere di base oligarchico. In questo discorso non ci si riferisce al sostegno per l’idea di un libero mercato, ma a quella di un mercato senza regole, che è diverso. Secondo la concezione liberale postmoderna, devono esserci delle norme che facciano sì che la libertà di mercato sia effettiva.