La cura dimagrante della finanza delle opere
L’imponente riforma dello IOR e delle finanze vaticane, avviata alla fine del pontificato di Benedetto XVI ed accelerata con l’elezione di Francesco, ha portato ad un cambiamento radicale all’interno del panorama economico ecclesiastico. L’attuale amministrazione dell’Istituto per le Opere di Religione, guidata da Jean Baptiste de Franssu (presidente) e da Gian Franco Mammì (direttore generale), ha ora l’importante compito di portare a regime le nuove norme che mirano innanzitutto a risolvere le più importanti questioni, come la trasparenza e l’antiriciclaggio, le quali, se non affrontate con il giusto atteggiamento, porteranno Oltretevere a temere nuovi scandali.
La missione dello IOR
L’Istituto per le Opere di Religione si pone esclusivamente al servizio della missione della Santa Sede, tutelando i rapporti economici e il patrimonio della medesima. È la banca vaticana e dei cittadini vaticani, non tutti chierici e religiosi. Come stabilito nel 1990, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, la sua funzione è quella di “provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti o affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione e di carità”. Essa, in generale, si comporta come una normale banca commerciale: si occupa dei depositi, gestisce patrimoni, svolge la funzione di custodia di titoli, si occupa di trasferimenti internazionali di denaro attraverso istituti corrispondenti e dei pagamenti per accrediti di stipendi e pensioni per i dipendenti del Vaticano. Ma lo IOR, come stabilito dalla Sovrintendenza nel 2014, non concede prestiti. L’Istituto ha un’unica sede operativa, quella situata nella città leonina dal 1942. All’AIF, Autorità d’Informazione Finanziaria della Santa Sede, operativa dal 2010, è affidato il compito vigilare sullo IOR e sulla finanza vaticana.
La clientela
Nella storia del pio Istituto abbiamo visto figurare, tra i suoi numerosi clienti, personalità che avevano poco a che fare con le opere di religione e di carità. Dal 2013, lo IOR ha adottato criteri molto più severi: non è più ammesso l’anonimato dei conti e i rapporti aperti devono essere tutti intestati a nome degli effettivi titolari. Questo ha permesso al Vaticano di poter riprendere i rapporti con la Banca d’Italia ed altri enti finanziari istituzionali. La clientela è formata da enti della Santa Sede, personale ecclesiastico, religiosi, dipendenti e pensionati del Vaticano, corpi diplomatici presso la Santa Sede. Attualmente lo IOR serve quasi 15.000 clienti. Oltre l’80% dei beni è in capo agli enti ecclesiastici, ma nell’ultimo triennio la posizione delle persone fisiche si è ridotta sensibilmente. L’introduzione dei nuovi requisiti ha infatti comportato la revisione o l’estinzione di moltissimi rapporti. Secondo la direzione generale, i quasi 5.000 rapporti estinti nell’ultimo triennio riguardano soprattutto conti dormienti, inattivi da decine di anni, molti dei quali avevano cifre modeste. I conti sospetti sono stati invece congelati e denunciati alle autorità competenti. Nonostante le rassicurazioni, rimangono i dubbi che qualche pecorella smarrita possa essere scappata al momento opportuno.
L’ultimo bilancio
Oltre alla riduzione della clientela, ciò che appare rilevante dal quadro sintetico del bilancio dello IOR è l’utile netto in calo a 16,1 milioni e una riduzione del patrimonio di circa 100 milioni tra il 2012 e il 2015. I conti non sembrano essere una sorpresa, ma è possibile ricondurre una tale riduzione esclusivamente alla volatilità elevata o ad un contesto di bassi tassi d’interesse, nonché all’odierna incertezza sui mercati finanziari? Il risultato operativo rappresenta un radicale cambiamento della strategia d’investimento. Tuttavia, l’istituto presenta alcune solidità per il futuro: infatti la riduzione dei costi operativi si rafforza (basti solo pensare all’abbattimento dei costi per la consulenza esterna, la quale si era dimostrata necessaria durante la riforma).
Vatileaks
Per quanto possano aver indebolito le figure di Ratzinger e di Bergoglio, nonché dell’intera Curia romana, le fughe di notizie del 2012 (Vatileaks 1) e del 2015 (Vatileaks 2) hanno svolto l’innegabile compito di far emergere importanti scandali legati alla gestione delle finanze vaticane e di aver accelerato il difficile processo di riforma dello IOR e di altre istituzioni all’interno della Santa Sede. La storia della banca vaticana, dalla sua fondazione fino ad oggi, è intrisa della presenza di oscuri personaggi all’interno del suo quadro dirigenziale, falcidiato a seguito di inchieste e scandali: dal crac del Banco Ambrosiano, ai tempi dell’arcivescovo Marcinkus, passando per Mani Pulite (caso Enimont) sotto la direzione di Caloia, fino ad arrivare all’ultima grande operazione di riciclaggio (2010). Dove ci sono i più grandi scandali finanziari della storia d’Italia, le finanze vaticane sono presenti, direttamente o indirettamente, soprattutto come rifugio dei proventi illeciti. Oggi però le regole sono cambiate per davvero e lo IOR non sembra essere più il porto sicuro di un tempo. Basterà per calmare i vizi e gli appetiti dei lupi?