Ultimamente, nel dibattito pubblico e non, si parla sempre più spesso delle lobby e dell’attività di lobbying: si passa dalle teorie complottistiche, come le fantomatiche lobby “cattive” delle big pharma, fino alle lobby “buone” dell’energia green e dei malati terminali, come dichiarato recentemente da un noto esponente politico. Una cosa certa è che però su questo tema continua – purtroppo – ad arieggiare un sottile velo di mistero e di false credenze: oggi cercheremo di spiegare in modo semplice cosa sono le lobby e come funzionano.
Il termine “lobby”
Il lobbying è l’atto di tentare di influenzare esponenti politici e/o del business in modo da creare una serie di leggi o un determinato tipo di attività che andrà a beneficiare una particolare organizzazione. La parola lobby, termine derivato dal latino, significa letteralmente “loggia, portico” e – leggenda narra – che il suo significato attuale poggi radici a Washington nel lontano 1870: il Presidente Grant era noto usare questo termine quando, la sera, incontrava diversi sostenitori e portavoce di vari interessi nella lobby dell’Hotel Wiliard, i quali provavano ad influenzarlo tra un sigaro e un bicchiere di whiskey. Altra storia vuole che, nell’Inghilterra del 1820, tale termine venisse utilizzato all’interno dei corridoi del parlamento Britannico per indicare le anticamere di fronte alle aule in cui le decisioni collettive venivano prese, luogo nel quale si accalcavano i gruppi di pressione.
La regolamentazione
Il concetto sbagliato che spesso si può avere in mente è che l’attività di pressione consista nell’agire nell’ombra, corrompendo sottobanco, facendo regali o persino intimorendo politici per raggiungere i propri scopi a discapito degli esterni alla lobby. In realtà, le cose funzionano molto diversamente. Sia in Europa che negli USA, ogni lobbista deve per forza essere iscritto ad un registro nazionale e riportare ogni volta quando e per quale motivo incontra un politico, oltre che a stilare un report completo delle somme che riceve e dona. E’ inoltre assolutamente vietato per legge dare bustarelle, regalini o fare qualsiasi azione che possa far arricchire il beneficiario in modo diretto: la pena sarebbe molto grave per entrambi. I gruppi di pressione, tuttavia, possono contribuire a garantire che i politici che sostengono i loro clienti o i loro scopi vengano eletti, di solito attraverso il finanziamento di fondazioni o di campagne politiche. In teoria, quei parlamentari avrebbero comunque favorito un determinato gruppo d’interesse anche se non avessero ricevuto denaro o azioni di sostegno dai lobbisti, e ciò è molto più efficace di tentare di pagare direttamente qualcuno. E’ perciò impensabile che, per esempio, un politico pro-cannabis cambi improvvisamente idea grazie solamente all’intervento dei lobbisti, d’altro canto, si possono influenzare le sue azioni quando determinate questioni vengono presentate nelle molteplici discussioni all’interno delle commissioni parlamentari.
Chi costituisce un “gruppo di pressione”
L’attività di lobbying, nell’immaginario collettivo, è praticata da qualche losca compagnia o multinazionale, che trama le fila della politica nascondendosi nell’ombra. Anche qui, i fatti sono diversi.
Il lobbying è il mezzo con cui la gente – si, quella comune – fa valere i propri diritti e i propri interessi. Partendo da individui singoli, passando per corporazioni, organizzazioni nonprofit, associazioni professionali, sindacati o persino comitati locali, se si tratta di politica a livello cittadino. Certo, esistono anche grossi conglomerati, come quello farmaceutico o petrolifero, che spingono per i loro interessi, ma non bisogna dimenticare che ogni cittadino appartiene ad una infinita moltitudine di “gruppi d’interessi speciali”: essi sono definiti dalla nostra età, dal nostro sesso o etnia, dal nostro lavoro o dalla nostra classe sociale, dalla nostra religione od orientamento sessuale, ecc. La complessità del processo del sistema legislativo rende tale attività essenziale per la funzione della macchina governativa, poichè i politici non possono essere esperti in ogni argomento, come ambiente, industria, finanza, sociale, ecc… e perciò necessitano che, in alcuni casi, vengano indirizzati, informati e consigliati. Un comitato cittadino che esprime le proprie preoccupazione o idee ad un candidato sindaco, è una forma di lobbying. Molti testi e disegni di legge, per esempio, vengono scritti basandosi su diversi consigli da parte dei gruppi di pressione, i quali a loro volta riportano gli interessi degli sponsor.
La spesa
Fino a qui può sembrare tutto molto bello, ma i problemi iniziano quando si parla di soldi. I lobbisti vengono pagati in modo da poterli far avvicinare ai politici, e non c’è un limite al loro stipendio o a quante donazioni possano ricevere da un determinato sponsor. L’unico limite che hanno è quello di non poter passare i soldi direttamente in alcun modo al politico. Negli USA, per esempio, nel 2011 la spesa totale sui lobbisti ha superato i 3.3 miliardi di $, il triplo della cifra spesa nel 1998. Ed è impossibile negare che i più grandi finanziatori siano le grandi corporazioni o le grandi industrie, superando in alcuni ambiti l’influenza che hanno i cittadini. In Europa, per esempio, i primi 10 gruppi di interesse più influenti sono grossi conglomerati, di cui la terza è persino una realtà Italiana: la BIOCHEMTEX.
(fonte: lobbyfacts.eu)
Qui, per esempio, si tocca un altro tasto dolente: in Italia non esiste alcuna legge o regolamentazione sull’attività di lobbying. Senza un registro pubblico e chiaro su quale politico incontra chi e per quale motivo, è molto facile il verificarsi di situazioni di corruzione, clientelismo o poca trasparenza. Nel caso in cui vi vogliate informare maggiormente su quali lobby sono attive in Europa, su chi influiscono e quanto spendono, potete consultare i siti: lobbyfacts e ec.europa.eu/transparencyregister/public/homePage.do