Il 31 ottobre 2019 è giunto al termine il mandato del Presidente della BCE Mario Draghi. Starting Finance ha dedicato alla sua figura, apprezzata dai più, l’evento “Una Settimana da Draghi”, pubblicando una serie di approfondimenti e news sul suo ruolo, la sua competenza e la sua persona, nonché una guida incentrata sulla politica monetaria della BCE. Per concludere, è utile tracciare il percorso di ciò che ha reso Mario Draghi il grande banchiere che è oggi.
Lo scenario di partenza
L’insediamento di Mario Draghi a Bruxelles è stato tutt’altro che semplice. È possibile rilevare almeno tre difficoltà di partenza che hanno segnato il suo intero percorso. La prima è di carattere storico: gli effetti della crisi del 2008 erano nel pieno del loro manifestarsi – basti pensare alla crisi dei debiti sovrani in corso in metà dei paesi europei – e l’intera zona euro sembrava essere in recessione. La seconda è di carattere strutturale: prima di adottare una moneta unica e di conseguenza creare un organo responsabile, sarebbe stato ragionevole gettare le fondamenta per un’Europa unita ed omogenea, capace di adottare politiche comuni. La terza è che la politica di aumento dei tassi d’interesse adottata dal predecessore Jean Claude Trichet era stata deludente e non aveva portato alcun giovamento alla situazione economica dell’Unione.
Il «Whatever it takes»
Resteranno alla storia le parole pronunciate da Mario Draghi il 26 luglio 2012, durante un intervento alla Global Investment Conference a Londra:
«Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough».
La reazione immediata a tale dichiarazione fu eclatante: nel giro di qualche ora tutti gli indici di borsa del pianeta aumentarono in media di quattro punti e i tassi cominciarono una discesa che li avrebbe portati ad essere pari a zero o addirittura negativi. Sarebbero poi state poste le basi per una serie di misure di politica monetaria espansiva.
Una politica «responsabilmente espansiva»
Risale al 5 febbraio 2013 l’ufficializzazione dell’indirizzo della politica monetaria che sarebbe stata portata avanti da Mario Draghi durante gli anni successivi. In quella data, illustrando le decisioni prese dal Consiglio della Banca Centrale Europea, il messaggio lanciato dal Presidente è stato forte e chiaro: la politica monetaria della BCE sarebbe stata di stampo «responsabilmente espansivo», prevedendo un graduale abbassamento dei tassi d’interesse applicati alle banche, fino a renderli prossimi allo zero, contemporaneamente ad un aumento della liquidità in circolazione.
Viste le continue domande durante quella stessa conferenza stampa circa la “questione Cipro” (con la quale la BCE, sotto la precedente guida, uscì sconfitta), Draghi non ha perso occasione di ribadire gli obiettivi cardine della Banca Centrale: mantenere la stabilità dei prezzi e di conseguenza raggiungere nel medio-lungo periodo un tasso di inflazione inferiore, ma prossimo, al 2%.
Lo scandalo MPS e la creazione dell’Unione Bancaria
Ulteriore questione delicata che ha costretto Draghi ad esporsi (soprattutto perché avvenuta in Italia, cosa che secondo alcuni avrebbe condizionato eventuali decisioni del Presidente BCE) è stata lo scandalo Monte dei Paschi di Siena. Pur non essendo questa la sede appropriata per trattare tale vicenda, è utile capire il risvolto fondamentale che la stessa ha portato.
Nell’ottobre 2013, la BCE ha ufficializzato infatti il primo passo per la creazione di un’Unione Bancaria. Tale unione avrebbe avuto come compito quello della supervisione unica sull’intero sistema bancario dei Paesi appartenenti alla zona euro, tramite tre passaggi distinti:
- Definizione di una metrica europea di rischio bancario;
- Applicazione di tale metrica alle banche europee sistematicamente rilevanti (130 banche di 18 Stati membri, circa l’85% del totale);
- Valutazione della robustezza patrimoniale di tali istituti attraverso simulazioni in situazioni di stress.
Un’evoluzione nella politica monetaria
Adottate le suddette misure, che iniziavano a mostrare i primi risultati – recessione europea scongiurata, crisi di Cipro sorpassata, aumento della fiducia nella BCE e quindi nella moneta – si era reso necessario capire come movimentare lo stock monetario a disposizione degli Stati membri per via della politica espansiva senza però cadere nel rischio deflazione. La situazione era infatti di piena trappola della liquidità.
Ma come uscirne? Come stimolare i flussi monetari, riuscendo a dare fiducia a cittadini ed istituzioni, senza causare deflazione? Il 5 giugno 2014 è arrivata la risposta di Draghi: la BCE ha intrapreso una evoluzione della politica monetaria espansiva, basata su strumenti non convenzionali (quali possono essere i tassi o la comunicazione di obiettivi di inflazione maggiori).
Essi consistevano in un programma di operazioni sul mercato aperto dei titoli di Stato dei Paesi dell’Unione, o direttamente nell’acquisto di titoli emessi dal settore privato, disegnando una struttura di crediti a lungo termine. Questi strumenti da un lato variavano la dimensione e la rischiosità del bilancio e dall’altro avrebbero, con ogni probabilità, influenzato le politiche delle banche e la propensione al rischio dei consumatori.
Il caso greco
Nel luglio del 2015 la Grecia navigava in acque tutt’altro che tranquille. Il referendum sulla Troika sembrava quasi una decisione riguardante il fallimento o il salvataggio del Paese. Ad un certo punto le soluzioni sembravano essere due: la prima consisteva nel mantenimento dell’euro, così che la stessa BCE avrebbe fatto da garante circa la solvibilità del debito greco, continuando nel frattempo a definire un piano di azioni, in linea con le sue competenze e con il suo mandato, per il futuro della Grecia.
La seconda opzione contemplava invece il fatto che la completa solvibilità dei titoli greci non sarebbe stata ulteriormente garantita. L’euro, pur avendo la possibilità di circolare all’interno del Paese, non sarebbe più stato sufficiente a coprire il debito: le istituzioni greche sarebbero quindi state costrette a stampare moneta propria per coprire la parte rimanente, con la possibile conseguenza di un’uscita definitiva dall’unione monetaria.
La politica della BCE, al contrario di quanto avvenuto con Cipro, in questo caso ha dato i suoi frutti: ha considerato i titoli greci – da essa stessa garantiti – solvibili, seppur ponendo particolare attenzione alla loro valutazione, ha aumentato la liquidità all’interno del Paese ed ha tracciato una linea d’azione per uscire dalla crisi.
Il futuro della BCE
Visto il cambio della guardia, che passa a Christine Lagarde, la domanda che ci si pone è: la BCE continuerà ad adottare una politica monetaria espansiva? In caso negativo, quale sarà la nuova linea guida della Banca?
Un accenno di risposta è stato fornito dallo stesso Draghi nell’agosto di quest’anno. L’oramai ex Presidente ha dichiarato che almeno fino al 2020 la politica della BCE sarà ancora espansiva, seppur in misura minore rispetto al passato. Ha inoltre annunciato una ulteriore ondata di Quantitative Easing da 15 miliardi di euro nel prossimo futuro, unita al mantenimento di tassi di interesse prossimi allo zero. Questo perché, come da egli stesso dichiarato, la ripresa dell’ultimo anno non è ancora consolidata, e fino a quando le analisi non la qualificheranno come una ripresa strutturale, la politica europea resterà perlopiù invariata.