L’Afghanistan oggi è il primo produttore illegale di oppio al mondo. Tale mercato è controllato saldamente dai Talebani e dai clan legati ai Signori della guerra.
2017, l’anno d’oro dell’oppio afghano
Il 15 Novembre del 2017 l’Ufficio delle Nazioni Unite contro il traffico di droga e la criminalità organizzata (UNDOC) presenta a Kabul l’annuale rapporto riguardante l’oppio in Afghanistan. Il dossier ha rivelato un incremento della produzione dell’87%, passando dalle 4.800 tonnellate stimate del 2016 alle 9.000 del 2017. La produzione di oppio rappresenta circa la metà del PIL afghano, con un utile intorno ai 16,34 miliardi di dollari l’anno. Il mercato del papavero è de facto l’unica industria afghana di rilievo sul piano internazionale. Gli ettari utilizzazti per la coltivazione nel paese, tra il 2010 e il 2013, sono aumentati da 123mila (2010) a 209mila(2013).
I maggiori centri di produzione
Le zone dove si coltiva il papavero da oppio si trovano quasi tutte nella zona meridionale ed occidentale dell’Afghanistan, provincie dove la presenza di truppe dell’Alleanza Atlantica è minore rispetto al resto del paese. Vicino Kabul c’è un importante centro, dove sono coltivati illegalmente all’incirca 220 ettari. Da ogni ettaro, in media, si ottengono circa 15/20 chili di oppio. Altre zone di coltivazione importanti nel paese sono concentrate nelle provincie di Kandahar e dell’Helmand.
Già in passato il paese era un esportatore di oppio, con l’ingresso in campo dei Talebani, però, si è dato il via alla svolta. Con la loro gestione si sono aperti molti laboratori per la raffinazione industriale dell’oppio grezzo in eroina. I Talebani controllano il grosso della produzione e della distribuzione, traendone profitti miliardari.
Le vie di diffusione dell’Oppio
Dopo la produzione, l’oppio e l’eroina giungono nei mercati attraverso tre vie principali: da Nord, passando dalla Russia e dall’Asia Centrale, da Sud, transitando per il Pakistan, e da Ovest, passando per l’Iran. La via del Nord attraversa le ex repubbliche sovietiche del Turkmenistan, dell’Uzbekistan e del Tajikistan. Con la caduta dell’URSS si sono aperte facili vie per il commercio illegale. I principali valichi sono nel distretto di Ishkashim, nei pressi del fiume Amu, e nella città di Os, situata nella Ferghana Valley in Kirghizistan. Da lì in poi la droga afghana si dirige verso occidente o verso Nord in direzione del Kazakistan e le città russe di Novosibirsk e nella città Siberiana Irkutsk. Oltre al Tajikistan e al Kirghizistan, anche il Turkmenistan è uno tra principali luoghi di passaggio per l’eroina afghana. La Via del Sud, in passato una delle principali, passa per il Pakistan, partendo da Baluchistan, paese al confine afghano. Dal Pakistan la merce è inviata o in Cina via terra, o in Africa, Oceania e America settentrionale via mare. Un’altro percorso è quello che attraversa la penisola Arabica fino alla Turchia, per terminare il trasporto in Europa. La Via Occidentale passa per l’Iran giungendo, come quella meridionale, in Turchia, checkpoint obbligatorio per arrivare al vecchio continente. Vie minori per l’occidente terminano verso l’Africa, in direzione dell’Egitto. Gli snodi di smistamento in Turchia sono situati nelle provincie dell’Hakkari, della Van e di Igdir. Una volta giunta in Europa, la droga afghana viene diffusa a pertire da Italia, Albania, Serbia o Montenegro. Il flusso che passa dalla Turchia è gestito da quasi 140 gruppi criminali, legati alla mafia turca che è il principale network internazionale per il traffico di oppio ed eroina nel vecchio continente.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, i Talebani pretendono una tassa del 5% dai contadini sul ricavato dell’oppio prodotto nei loro terreni. Ai produttori va il 20% del profitto ed il resto viene spartito tra i Signori della guerra, le milizie locali, i trafficanti ed i mediatori. Anche le forze anti-talebane, supportate dalla NATO, sono immischiate in questi immeso mercato nero. In molti casi le forze NATO, per ottenere il sostegno dei contadini contro i gruppi terroristici, si ritrovano a proteggere le piantagioni illegali di papaveri.