È risaputo che in finanza esistono due campi contrapposti, quantitative e corporate, che, per quanto siano afferenti alla stessa materia, trattano di fatto temi diversi. Questi due campi sembrano però incontrarsi quando si parla di valutazione del patrimonio netto (o equity) di un’impresa. Infatti, il noto modello Black-Scholes-Merton, elaborato per l’option pricing, rappresenta una valida alternativa al comune discounted-cash-flow model, in particolare per spiegare perché imprese in distress, ossia società già praticamente in default (valore del debito vicino al valore degli assets), presentano un equity comunque positivo. In questo contesto, l’equity dell’impresa viene trattato alla stregua di una opzione call, con tutti i limiti e le implicazioni che ciò comporta.
Il modello Black-Scholes-Merton
Per comprendere appieno l’applicazione è bene tenere a mente cosa è una opzione: un’opzione è un contratto derivato che consente al detentore di poter esercitare un diritto di acquisto (call) o vendita (put) di un’attività sottostante (underlying asset, S) ad un prezzo prefissato (strike price, K) fino ad una certa data (opzione americana) o entro una certa data (opzione europea).
Ciò detto, in che modo possiamo applicare un modello sviluppato per prezzare le opzioni nella valutazione del patrimonio netto di un’impresa? Nonostante ad un primo sguardo i due mondi sembrano essere molto distanti, ad una più attenta analisi invece si comprende facilmente come l’equity presenti due caratteristiche fondamentali che ci consentono di trattarlo a tutti gli effetti come una call option:
- Liquidazione: gli azionisti possono decidere in qualsiasi momento di liquidare gli assets dell’impresa e pagare tutte le restanti obbligazioni, ed in particolare agli azionisti spetterà ciò che rimane dopo il pagamento di tutti i debiti contratti (carattere residuale).
- Passività limitata (limited liability): ossia gli azionisti non possono perdere più di quanto hanno investito.
Questi due aspetti, se considerati insieme, conferiscono all’equity tutte le caratteristiche essenziali di una opzione call americana: la possibilità di esercizio in qualsiasi momento (ossia la liquidazione della posizione) e la passività limitata (il detentore di un’opzione non può perdere più di quanto pagato per il premio al momento dell’acquisto). Giunti a questo punto, appare evidente il paragone: l’equity può essere considerato come una call avente come strike price il valore del debito da ripagare e come sottostante gli assets dell’impresa, che se venduti restituiscono il liquidation value.
Se l’opzione viene esercitata, l’impresa viene liquidata, dunque gli asset vengono venduti e con il ricavato viene estinto l’intero debito, ciò che residua spetta agli azionisti, detentori dell’opzione, esattamente come la differenza tra il prezzo del sottostante e lo strike residua al detentore di una qualsiasi opzione. In questo contesto dunque, il valore dell’equity può essere ottenuto inserendo i valori corrispondenti nella celebre formula di Black-Scholes-Merton, dove al posto del prezzo del sottostante dovrà essere inserito il liquidation value e al posto dello strike price il valore facciale del debito emesso.
Il principale risvolto applicativo
Il modello di Black-Scholes-Merton è particolarmente rilevante per spiegare un fenomeno che può apparire paradossale: come mai imprese quasi in bancarotta presentano un valore dell’equity ancora positivo? La risposta risiede considerando la natura di opzione dell’equity, in particolare, nel caso in cui l’opzione sia “deep-out-of-the-money”, ossia il liquidation value sia di gran lunga inferiore al valore del debito emesso da ripagare. In tal contesto, gli analisti e gli investitori sarebbero ragionevolmente preoccupati e attribuirebbero un valore irrisorio all’equity, scontando la scarsa possibilità che in futuro l’impresa sia solvibile.
Al contrario, il modello appena descritto ripoterebbe un valore sensibilmente positivo del patrimonio netto, in quanto l’opzione incorpora il cosìdetto time premium: la possibilità che nella vita residua dell’opzione l’impresa possa incrementare il valore dei propri assets al di sopra dello strike, anche se ciò è estremamente improbabile. Infatti, è ciò che esattamente avviene quando si prezza un’opzione call in cui il valore del sottostante è decisamente inferiore rispetto lo strike: l’opzione non ha valore nullo nonostante non convenga esercitarla, perché vi è la possibilità, soprattutto in presenza di alta volatilità, che il prezzo possa risalire fin oltre lo strike, e questa possibilità ha un valore, il cosiddetto valore temporale.
I maggiori limiti
Se la semplice applicazione del concetto di opzione al patrimonio netto di un’impresa da una parte ci consente di avere un modello matematico ben definito per ottenere il valore dell’equity (modello Black-Scholes-Merton) e di risolvere un “puzzle”, dall’altra essa soggiace a diverse assunzioni semplificatrici e comporta implicazioni non di poco conto e di dubbia ragionevolezza.
Generalmente esiste una relazione inversa tra il rischio dell’impresa (misurato dalla volatilità del suo valore) e il valore dell’equity, ed infatti il discounted-cash-flow model conferma questa relazione. Tuttavia, nel contesto dell’opzione accade esattamente il contrario, un aumento della volatilità aumenta il valore dell’opzione, e dunque dell’equity, in virtù della caratteristica di essere una limited liability. In altre parole, non potendo perdere più di ciò che si è versato, un aumento della volatilità può solo aumentare la probabilità di guadagni maggiori, ma non di perdite maggiori, e dunque il valore dell’opzione aumenta, e così quello dell’equity.
In questo senso dunque, si comprende come applicare tale modello faccia perdere, almeno parzialmente, la prospettiva imprenditoriale, portando infatti a conclusioni non molto convincenti in determinate circostanze, in quanto vengono applicati ragionamenti che sono del tutto validi per un titolo derivato, ma che risultano opinabili in un’ottica corporate.
Questa diversa valutazione del rischio inoltre conduce ad un altro bias nella valutazione dei progetti: il problema dell’overinvestment. Questo nasce dal fatto che, seguendo il modello, gli azionisti sarebbero portati a sollecitare il management ad intraprendere progetti altamente rischiosi e con valore attuale negativo solamente in virtù del loro elevato grado di rischio, per i motivi di cui sopra. Se così fosse, il risultato finale vedrebbe una diminuzione complessiva del valore dell’impresa, ma un aumento del valore dell’equity.
Infatti, data la relazione che lega il valore dell’impresa al valore dell’equity e del debito (ossia Value of the firm= Equity+ Debt) ne discende che gli obbligazionisti si vedrebbero distrutta parte del proprio valore a causa di un’allocazione inefficiente delle risorse guidata da valutazione distorta dal modello, ed infatti l’aumento del rischio complessivo comporterebbe una diminuzione del valore di mercato delle obbligazioni emesse.
Giunti a questo punto, è palese come, nonostante l’eleganza matematica e la semplicità applicativa, l’utilizzo del modello Black-Scholes-Merton mutuato dalla finanza quantitativa debba essere effettuata in maniera consapevole rispetto i limiti che esso implica, in modo tale da non essere deviati nella successiva lettura dei risultati, nonostante, comunque, si ponga come valida spiegazione al perché imprese praticamente fallite presentino un valore ancora positivo dell’equity.
Per ulteriori approfondimenti, di seguito il link del paper a cui l’articolo si è ispirato:
http://people.stern.nyu.edu/adamodar/pdfiles/valn2ed/ch30.pdf
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