Dagli anni ’90 alla crisi finanziaria
Negli anni ’90, l’Irlanda è stato uno dei Paesi più “ruggenti” d’Europa. Tra il 1995 ed il 2000 si è registrata ogni anno una crescita del PIL tra l’8% ed il 10% annuo. A partire dal 2000, poi, il trend è diventato più altalenante ma con il Prodotto Interno Lordo sempre in aumento almeno del 2,8%, con un picco del 7,4% nel 2006. Un Pil in continua crescita, la disoccupazione su livelli naturali ed un debito pubblico che valeva appena il 24,8% del Pil. A trainare la crescita erano il settore edilizio ed immobiliare – i quali impiegavano il 13,3% della forza lavoro, la più alta percentuale in Europa – ed una tassazione sulle imprese decisamente favorevole, che già prima del 2000 aveva dato il via alla migrazione delle multinazionali nella allora detta “Isola di Smeraldo“. Nel 2008 l’Irlanda aveva il Pil pro capite più alto della zona euro. Per questo, sul finire degli anni ‘90, l’Irlanda si guadagnò, in ambito finanziario, il soprannome di “tigre celtica”, per analogia con le economie, allora emergenti, dell’Asia, che erano indicate con il nome di “tigri asiatiche”. Accanto agli ottimi dati economici, però, vi erano diversi aspetti strutturali critici: una crescita demografica non sostenibile, infrastrutture e servizi pubblici non adeguati ed un indebitamento privato che cresceva in silenzio di anno in anno. Lo scoppio della crisi finanziaria del 2008 demolirà il Paese in pochi mesi, facendo emergere tutti i limiti dell’economia irlandese. Più nello specifico, la “Tigre Celtica” fu protagonista di una bolla immobiliare dai numeri spaventosi.
La crisi immobiliare
Il settore immobiliare era il principale canale di traino dell’occupazione. I beni immobili irlandesi, in meno di 20 anni, sono passati da 1,2 milioni e 1,9 milioni. Il credito facile concesso alle imprese, l’importazione di manodopera e l’alta redditività del settore avevano infine condotto il Paese ad una totale dipendenza dal mercato edile-immobiliare. Tale situazione ha portato ad una sopravvalutazione dei prezzi delle case maggiore del 30%. La principale causa della bolla è stato il processo di privatizzazione e deregolamentazione delle banche dei primi anni 2000, il quale ha spinto i principali istituti di credito irlandesi ad indebitarsi per circa 12 volte il Pil del paese. Allo scoppio della crisi, il settore immobiliare è collassato, trascinando nel baratro le banche. Nel 2008 il governo è stato costretto a nazionalizzare del tutto quattro banche (Anglo Irish Bank, Allied Irish Bank, EBS e INBS) lasciando come unico istituto privato del paese la Irish Life. Le conseguenze sono state devastanti. Dopo il +5,2% del Pil fatto registrare nel 2007, nell’anno successivo la crescita è stata negativa per un -3% e nel 2009 addirittura -7%, con un tasso di disoccupazione salito fino al 13,8% (nel 2007 era appena del 4,7%). Con la nazionalizzazione delle banche e di tutti i debiti che esse avevano contratto (circa due quinti del Pil) il debito pubblico nel 2012 è arrivato oltre il 115% del Pil.
L’Irlanda torna a crescere
La crisi finanziaria ha indebolito in modo particolare i così detti “PIIGS” (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), ma due paesi su tutti figuravano come i veri malati d’Europa: la Grecia e l’Irlanda. Così, come per il Paese ellenico, l’Irlanda è stata costretta ad accettare gli aiuti provenienti dalle istituzioni europee e dal FMI. Il totale degli aiuti concessi è stato di circa 85 miliardi di euro divisi in tranche. Dopo anni bui, con un’accennata crescita del Pil nel 2012 e di nuovo una decrescita nel 2013, dal 2014 la “Tigre Celtica” è tornata a ruggire, fino a raggiungere un crescita del Pil nel 2015 del 26,3%. Le riforme portate avanti dal governo hanno visto una diminuzione della spesa pubblica di circa 30 miliardi (il 20% del Pil), una calo degli stipendi pubblici ed un netto taglio ai sostegni assistenziali. Tali manovre, però, non sono sufficienti a giustificare una crescita straordinaria come quella avvenuta nel 2015.
Quali sono state allora le motivazioni alla base della rinascita dell’Irlanda?
La rinascita della “Fenice Celtica” (così è stata denominata l’Irlanda dal The Economist in un articolo del 2015) è da imputare in via principale ai vantaggi fiscali di cui godono le imprese. La corporate tax del 12,5%, approvata in Irlanda, è la più bassa dei paesi OCSE. Moltissime multinazionali oggi hanno sede nel paese (tra le principali società si notano Facebook, IBM, Linkedin, eBay, Apple, Amazon, Google e Dell). Ma l’Irlanda non è solo la destinazione preferita dalle società estere, infatti è terreno fertile anche per chi vuole lanciare una società nel Paese. Ci sono molte le start up, legate soprattutto al settore all’Hi-Tech, che stanno crescendo a Dublino, come Cork e Limerick. La connessione tra capitali, incentivi statali, forza lavoro di qualità e una lingua che favorisce l’internazionalizzazione sono i principali drivers che hanno spinto l’Irlanda a raddoppiare in pochi anni le esportazioni e la produzione industriale. Infine, il riassorbimento della diffusa disoccupazione – oggi ridotta al 6,1% – e la ripresa del mercato immobiliare hanno restituito all’Irlanda un ruolo principale in Europa e non solo. Il favoloso triennio rappresentato dai dati positivi su crescita, produzione e consumi è macchiato però dalla condizione dell’economia reale. Complici le riforme degli anni passati e le caratteristiche intrinseche delle multinazionali presenti sul territorio, l’economia reale non sembra aver beneficiato fino in fondo della crescita del Pil. I dati mostrano che la ricchezza media per cittadino è sempre più bassa e circa 40 000 persone l’anno emigrano. Anche il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, sostiene che i dati siano “dopati” dalle società estere che, nonostante abbiano sede nel territorio irlandese, producono al di fuori di esso non contribuendo perciò all’occupazione della forza lavoro ed al benessere delle fasce più deboli della popolazione. Il distacco tra economia reale e dati economici non è presente solo in Irlanda, ma in un paese in cui l’economia è tanto volatile il fenomeno è accentuato. Nei prossimi mesi, a causa della Brexit, l’Irlanda si troverà a poter sfruttare l’ondata migratoria delle società prevenienti dal Regno Unito, la quale potrà rappresentare l’ennesimo volano per l’economia.