È opinione oramai diffusa che per svolgere la professione di trader non siano solamente necessarie adeguate competenze tecniche e statistiche, ma che anche la componente psicologica ed emozionale giochi un ruolo che spesso si rivela addirittura più importante. Gli studi condotti nel campo della neuroeconomia, ossia una neuroscienza che studia il funzionamento della mente umana durante i processi decisionali nella risoluzione di problemi di natura economica, hanno confermato questa convinzione mostrando l’importanza delle emozioni nelle scelte di investimento, soprattutto di breve-medio termine.
Dove nasce la Neuroeconomia
Questa disciplina, le cui radici potrebbero essere fatte risalire perfino a Cartesio, ha trovato in realtà terreno fertile per il proprio sviluppo nelle intuizioni di Tversky e Kahneman fondanti l’economia comportamentale intorno agli anni ’80 del secondo scorso. Queste idee hanno avuto però un rilevante seguito solamente a partire dall’inizio del nuovo millennio, grazie all’utilizzo di innovative tecniche di rappresentazione celebrale (brain imaging) che hanno consentito l’analisi delle aree del cervello stimolate durante il decision making, senza influenzarne l’attività.
Processi controllati e automatici
Nel corso degli anni sono stati individuate diverse tipologie di processi neurali che si attivano nel momento in cui si prendono decisioni: processi controllati e automatici, e processi cognitivi e affettivi. I processi controllati sono volontari e seriali, ossia sono processi consapevolmente attivati dal soggetto per affrontare difficoltà, attraverso un meccanismo logico di risoluzione step-by-step. Spesso richiedono uno sforzo cognitivo da parte del soggetto e vengono generalmente descritti in maniera fedele dalle persone, per esempio quando viene chiesto loro quali sono i passaggi e le considerazioni che le hanno condotte a fare un certo acquisto o a risolvere un determinato problema. Le zone del cervello in cui tali processi prendono luogo sono quelle frontali (orbitali e prefrontali). I processi automatici sono esattamente l’opposto di quelli controllati, lavorano in parallelo a questi ultimi ma sono di natura istintiva e spontanea, non richiedono un particolare sforzo e sono di difficile accessibilità per la coscienza, ossia vengono attivati in maniera non consapevole. Pertanto, difficilmente le persone riusciranno a giustificare una determinata scelta o giudizio di tipo automatico, se non attraverso un tentativo di razionalizzazione a posteriori. Le aree celebrali coinvolte da questi tipi di processi sono la zona occipitale, parietale, temporale, e il nucleo accumbens. In particolare, l’amigdala, localizzata al di sotto della corteccia, è responsabile di processi automatici di tipo affettivo (che si introdurranno tra qualche rigo) come per esempio la paura.
Processi affettivi e cognitivi
L’ulteriore distinzione è tra processi affettivi e cognitivi. I primi coinvolgono non solo le emozioni (rabbia, paura, gelosia) ma anche stati pulsionali e motivazionali come fame, sete, libidine, dolore fisico, malessere. I secondi invece coinvolgono la ragione. Lo studio di tali processi e delle regioni celebrali in cui avvengono ha un rilievo di non poco conto per l’economia perché consente di trarre delle spiegazioni anche scientifiche a quello che sembra essere un comportamento irrazionale dell’investitore, perché spesso troppo emotivo. Per esempio, si è dimostrato tramite studi nel campo della neuroeconomia, ed in particolare della neurofinanza, che il nucleo accubens e l’insula sono stimolati prima di ogni decisione di investimento. Il primo viene definito il cosiddetto “centro del piacere”, mentre la seconda è una zona della corteccia situata tra il lobo temporale e il lobo frontale, la quale controlla automaticamente le sensazioni viscerali di dolore fisico e le corrispondenti valutazioni degli stati emotivi negativi. Appare dunque evidente che la loro attivazione influenza la decisione che si prenderà: l’idea di poter ottenere un facile guadagno attiverebbe infatti il nucleo accumbens, generando conseguenti sensazioni di piacere e di euforia, inducendo impulsivamente a investire in titoli più rischiosi. Al contrario, il sentore di una perdita possibile stimolerebbe l’insula, comportando quindi stati affettivi negativi che rendono l’investitore sofferente e timoroso, inducendolo a non rischiare.
Un nuovo modello economico
Ulteriori studi ed esperimenti hanno fornito spiegazioni di natura neurobiologica e neurochimica, ossia hanno individuato dei correlati neurali e fisiologici associati ad alcuni comportamenti emotivi e psicologici alla base delle scelte degli investitori quali il rimpianto, l’invidia e l’orgoglio, e ad alcune delle principali euristiche individuate dalla finanza comportamentale di Tversky e Kahneman, come per esempio la loss adversion e il disposal effect. Per esempio, è stato individuato che una lesione all’amigdala inibisce l’avversione alle perdite. Dunque, la neuroeconomia offre un nuovo spunto per l’analisi dei comportamenti dell’investitore, andando ad esplorare con perizia scientifica quei comportamenti contrapposti alla finanza classica, al fine di poterli includere in modelli economici ben più ampi rispetto quelli tradizionali, concorrendo a spiegare e potenzialmente prevedere il comportamento dei mercati. I nuovi modelli economici saranno così soggetti a meno errori nella previsione dei comportamenti degli investitori, soprattutto nei momenti più critici (come bolle speculative), perché questi sono i momenti in cui le componenti psicologiche ed emotive giocano un ruolo più importante, componenti spesso troppo trascurate dai modelli classici. Come sostiene Matteo Motterlini, professore di Economia Cognitiva e Neuroeconomia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano: “Ne risulterà una rinnovata teoria economica, magari meno onnicomprensiva e imperialista, meno formalmente elegante ed esatta; ma anche meno separata dalle altre scienze e meno distante dalla natura umana” e dunque, si potrebbe aggiungere, più preparata a dare risposte concrete a situazioni reali.