Le migliori 20 della Footbal Money League
Al termine della stagione 1996/97 il Manchester United di Cantonà, Beckham e Schmeichel era in testa alla classifica della Premier League e, con un fatturato di 88 milioni di sterline, si posizionava in prima posizione anche alla prima edizione di Football Money League (FML), la classifica di Deloitte sulle performance economiche delle principali società calcistiche Europee. Ventun’anni più tardi in cima a FML 2018 (pubblicata nei giorni scorsi) c’è di nuovo lo United, questa volta con un fatturato di 581 milioni di sterline, un aumento di oltre il 550%. Già nell’edizione 2017 il Real Madrid, che dominava la classifica da 11 stagioni, era stato scalzato in vetta dai Red Devils, e superato anche dalla rivale di sempre, il Barcellona, scivolando al terzo scalino del podio. La scorsa stagione però i Blancos sono tornati a fare la voce grossa, chiudendo l’esercizio con ricavi per 674 milioni di Euro e vincendo per la seconda volta consecutiva la Champions League, impresa mai riuscita a nessuno prima. I ricavi complessivi dei migliori 20 club Europei hanno ormai raggiunto i 7,9 miliardi di Euro con una crescita annuale del 6%. Si sta anche assistendo a una polarizzazione. In questi ventun’ anni il rapporto tra i ricavi del primo e dell’ultimo club della top 20 europea è passato da 3:1 a 4:1. Rapporto che sale a 6 per i ricavi da stadio e a 12 per la quota commerciale. Non tutti sono riusciti a tenere lo stesso passo, non sotto tutti gli aspetti, non in tutte le leghe. La Premier League continua ad essere di un altro livello, con ben 10 squadre tra le migliori 20 in Europa. Allo United si aggiungono Manchester City, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham, Leicester city, West Ham, Southampton e Everton.
Le italiane
Le italiane invece sono rimaste in tre, con la Juventus di nuovo decima, anche se in crescita dopo aver chiuso la stagione 2016/2017 con ricavi per 406 milioni (+20%), Escono invece dalla top 20 la Roma, che nella scorsa stagione ha deluso in Champions e il Milan che è in peggioramento continuo da anni. La mancata qualificazione alla Champions League e i risultati deludenti di questa prima metà di stagione non assicurano la presenza dei rossoneri tra le prime 20 della classe neanche nella prossima edizione. Buone notizie invece da Napoli e Inter, entrambe in risalita. In generale i ricavi delle squadre di serie A dipendono sempre troppo dai diritti televisivi mentre stadio e ricavi commerciali pesano mediamente meno rispetto ai principali campionati europei. Il problema dei ricavi televisivi è di essere poco influenzabili dai club, perché dipendono anche da molti fattori esterni. Persino la Juventus continua a risultare fortemente esposta alla componente broadcast (58%) nel bilancio dell’ultima stagione, sebbene in Italia per la questione stadio i bianconeri abbiano fatto scuola, lavorando sulla regolarità di affluenza alle partite e costruendo un evento sportivo moderno, sul modello inglese, pensato attorno al load effect e allo stadio sold-out. Se non altro la Juventus sta dando i segnali migliori. Il 2017 è stato l’anno della rivoluzione commerciale, iniziata in realtà già nel 2016 con gli accordi con Adidas e lo sponsor Jeep. La vecchia signora ha poi cambiato abito e logo, con un re-branding che punta ad alimentare un imponente piano di sviluppo di cinque anni. La community on-line è cresciuta grazie a nuovi progetti, tra i quali una serie su Netflix in arrivo quest’anno. E’ stato anche venduto il naming right dello stadio e dallo scorso giugno Buffon e compagni giocano ufficialmente all’Allianz Stadium. Il risultato: Dopo le ultime due chiusure di bilancio la componente commerciale è cresciuta per oltre il 50%.
L’importanza dei ricavi commerciali
Per Manchester United, Barcellona, Real Madrid, Bayern Monaco, Manchester City e Paris Saint Germain i ricavi commerciali rappresentano la prima voce di entrate a bilancio, anche se per quasi tutte il peso della componente commerciale del fatturato è leggermente diminuito dalla stagione precedente. In ogni caso questo favorisce la loro permanenza in cima alla classifica economica. Alcuni club stanno raccogliendo la sfida. In Italia anche la Roma con il via libera alla costruzione del nuovo stadio e i nuovi accordi commerciali (per cominciare il ritorno di un main sponsor, Turkish Airlines) può muovere passi importanti per ridisegnare la struttura dei ricavi. L’obiettivo di tutti è avvicinarsi al modello dei migliori. La forza del commerciale è di generare grande liquidità nel breve termine, di compensare a periodi di flessione dei risultati sportivi (come ha dimostrato proprio il Manchester United) e di diversificare i modi con cui si raggiungono i tifosi, avvicinandosi a target specifici, ampliando l’esperienza offerta, penetrando nuovi mercati.
La conquista del nuovo mondo
I nuovi mercati hanno assunto un ruolo chiave e la via per le Indie e le Americhe passa anche attraverso i palinsesti TV, l’odiato “spezzatino”e i big match vicini all’ora di pranzo. Già da qualche anno il pallone si sposta sempre di più dall’Europa, le Tournée in USA e Cina sono appuntamenti fissi e modificano la preparazione atletica e le preferenze dei club per il calcio d’estate. C’è anche chi sostiene che siano opzioni più remunerative che partecipare all’Europa league, la quale, in caso di preliminari, costringe a rimanere nel vecchio continente e a saltare la spedizione nel nuovo mondo. Esportare calcio oltre gli oceani per importare nuovi fan. E poi far proliferare accordi commerciali e televisivi e spesso far muovere nuovi capitali, in una specie di versione calcistica del modello centro-periferia. Molte aziende cinesi a loro volta hanno investito pesantemente nel calcio europeo. Milan ma non solo. Quest’anno ad esempio l’Atletico Madrid ha esordito nella sua nuova casa, il Wanda Metropolitano, Wanda come il colosso immobiliare cinese di Wang Janlin, che un paio d’anni fa è entrato nella compagine societaria dell’Atletico con una quota del 20%. Non si tratta certo di casi isolati. Il governo cinese è dovuto correre ai ripari aumentando la regolamentazione sugli investimenti dei privati fuori dall’economia nazionale, arrivando, in ambito calcistico, anche a misure drastiche come la Luxury tax. Nel frattempo, neanche a dirlo, Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco costruiscono centri sportivi in Cina e sono sempre più tifati. Resta invece impantanata la crescita dell’appeal delle italiane, i cui sforzi non sono ancora sufficienti. Da quelle parti la serie A sta diventando un prodotto a tratti nostalgico, che andava forte fino agli inizi degli anni 2000, ma poi non è rimasto al passo. Lo testimonia la cifra che la nostra lega guadagnerà per la vendita dei diritti televisivi nei prossimi anni (371 milioni), modesta se paragonata a quelle di Liga (636 milioni) e la Premier League (1.3 miliardi) e se i club hanno le loro responsabilità, la FIGC ha contribuito al ritardo rimanendo spesso immobile in ambito internazionalizzazione.
Tutto dunque sembra dirci che nel lungo termine i migliori sono destinati ad essere quelli che sosterranno il proprio modello con una struttura di ricavi bilanciata e diversificata. Il pallone è un business a trecentosessanta gradi e il calcio post-coloniale ha nuove ambizioni, nuovi popoli, nuovi tifosi. I leader hanno tracciato la strada, ora chi insegue deve intraprenderla. Abbiamo già visto che rimanere indietro come aziende significa rimanere indietro sul campo, anche se qualche volta capita ancora che saltino gli schemi. Allora quelle poche volte può succedere che sul palcoscenico sia di passaggio il Leicester city, che la dura legge economica lasci la scena al romanticismo e che i numeri per un attimo vengano smentiti. Infondo il calcio resta pur sempre uno sport.