La corsa per il controllo dell’oro sahariano ebbe inizio nel 2011, quando scoppiarono le proteste (le Primavere Arabe) nei paesi del Nordafrica e la guerra civile libica. Il conflitto civile fu seguito dal collasso dell’apparato statale libico gheddafiano, lasciando un vuoto di potere nella zona del Fezzan, una regione della Libia nel cuore del deserto del Sahara. La Libia meridionale, il Ciad, l’est del Niger e la provincia del Darfur, in Sudan, rappresentano zone senza controllo delle autorità statali, che hanno favorito il controllo della tribù dei Tebu. Questa tribù, che continua ad avere forti contrasti con quelle dei tuareg, “sorveglia” una zona dell’Africa subsahariana in cui sono presenti miniere d’oro, miniere ambite sia dai trafficanti, sia dalle milizie libiche, sia da cercatori improvvisati.
Le Miniere Ciadiane
L’Instabilità libica ha consegnato alla tribù dei Tebu, che non sono interessati al rispetto dei confini, una zona particolarmente ricca che interessa principalmente la zona settentrionale del Ciad. Il boom della produzione aurea si ebbe tra il 2011 e il 2013, con le più proficue miniere situate nella regione del Tibesti, nel nord del Ciad. Se le principali miniere erano li, dalla Libia giungeva la maggior parte dei rifornimenti: generatori per l’elettricità, gasolio, metal detector, scavatori e mercurio utilizzato per separare il metallo prezioso dalla sabbia del Sahara. Ma il business, nonostante sia sotto controllo della tribù dei Tebu, è conteso tra due gruppi: i Teda e i Dazagada. I due gruppi Tebu supportano la produzione dell’oro fornendo la manodopera, rappresentata principalmente da minatori nigeriani e maliani. Le tensioni tra i due grandi gruppi Tebu, negli scorsi anni, hanno condotto a silenziosi stragi. Nel 2015 si interruppe improvvisamente il flusso dei rifornimenti alla zona di Kori Bokadi, situata al confine Ciadiano-Libico. In pochi giorni quasi diecimila cercatori rimasero senza acqua, tentando di lanciare appelli di soccorso radio in direzione del Sudan. I soccorsi sono poi arrivati, ma il numero di morti ancora non è certo.
L’interesse della Guerra in Libia e il ruolo dei contractor africani
Altro dramma per i cercatori sono i residui bellici della guerra avvenuta tra Ciad e Libia, combattuta tra il 1978 e il 1987. Oltre le mine anti-uomo, altro problema è il ruolo delle milizie ciadiane dei Tebu nella guerra civile che sta sconvolgendo la Libia dal 2014. I Tebu ciadiani supportano le forze della Tripolitania che combattono contro le truppe del Generale Khalifa Haftar. Nel Maggio del 2017 quasi 1000 mercenari hanno massacrato uomini delle forze di Haftar che erano presenti nella base aerea di Al-bouyusuf nei pressi di Sebha, nel Fezzan. Se i Tebu ciadiani combattono contro Haftar, è di altro avviso il ruolo delle tribù Tebu del Sudan. Quasi 1500 contractor (combattenti per società miltari private) delle tribù sudanesi Tebu hanno rafforzato le forze dell’esercito Nazionale Libico di Haftar. I due gruppi Tebu si contrappongono nel mosaico della guerra libica; i due schieramenti combattono nella zona dell’oasi di Jufra, punto che è nell’agenda di Haftar per quanto riguarda la marcia verso Tripoli. La tratta libica serve per contrabbandare oro, migranti e armi. Business che viene utilizzato dalle milizie per acquistare nuovamente armi ed equipaggiamento militare, traffico gestito sia in entrata sia in uscita dalle Tribù Tebu.
L’assenza degli Stati nella zona dell’oro Sahariano
Questo dramma, che ebbe inizio con la guerra libico-ciadiana, si è lentamente trasformato in una guerra tra tribù. Inoltre, i migranti che provengono dalla Nigeria, dal Mali e dal Burkina Faso vengono sfruttati come manodopera nelle miniere d’oro. I soldi che provengono dal business dell’oro non bastano per coprire le spese riguardanti i rifornimenti e quelle dei macchinari. Il grosso dei proventi entrano nelle casse delle milizie e dei trafficanti. Nel rapporto del centro studi Small Arms Surveys, intitolato Tebu Trouble, viene analizzato che la crisi libica e la forte presenza di gruppi jihadisti, non possono essere risolte soltanto con interventi di peacekeeping, o con interventi militari, su confini porosi come quelli dei paesi sahariani . Nel rapporto si puntualizza che la comunità internazionale deve riportare la presenza statale dei paesi coinvolti in quelle regioni non solo attraverso la presenza di guarnigioni militari ma istituendo piani di investimento economico concentrati sullo sviluppo e sui servizi.