Che cosa è un “conto offshore”? Nel gergo finanziario questo termine indica un conto all’estero. Nello specifico parliamo di Paesi nei quali si pagano tasse molto basse, che spesso tendono quasi a zero, e che offrono la segretezza di proprietà di società e conti correnti.
Una “società offshore” è quindi un’organizzazione che ha la propria sede legale in un Paese diverso da quello nel quale sviluppa i propri affari principali.
Questi Paesi, nei quali risiedono i conti e le società offshore, sono comunemente chiamati “paradisi fiscali”, i quali riescono a garantire la massima segretezza in quanto le amministrazioni locali sono disposte a rifiutarsi di collaborare con le autorità delle altre Nazioni, proteggendo così gli interessi delle società offshore.
Agosto 2015: Il “Süddeutsche Zeitung”, uno dei più importanti quotidiani tedeschi, entra in possesso di un fascicolo riservato composto da 11,5 milioni di documenti confidenziali della “Mossack Fonseca”, studio legale di Panama, contenti informazioni su oltre 214.000 società offshore.
I documenti menzionano al loro interno leader mondiali, funzionari di governo, personaggi sportivi, manager e personaggi di spicco anche dell’ambiente italiano. Ognuno di questi dovrà rispondere dell’accusa di evasione fiscale.
Il nome di questo fascicolo? “Panama Papers”.
La Mossack Fonseca
Fondata nel 1977 dagli avvocati Jurgen Mossack e Ramon Fonseca, la società era il quarto più grande fornitore al mondo di servizi offshore al momento dell’esplosione dello scandalo.
Lo studio aveva fondato più di 300 mila società offshore nei diversi paradisi fiscali, possedeva 40 uffici in tutto il mondo, impiegando più di 600 persone e con un fatturato di circa 42 milioni di dollari.
Il ruolo principale della società era quello di assistere tutte le aziende che desideravano spostarsi fisicamente a Panama, o in un qualsiasi paradiso fiscale, gestendo aspetti logistici, acquisto e affitto di immobili e lo stabilimento dei loro affari.
La Mossack Fonseca ha dichiarato la chiusura ufficiale della società nel Marzo 2018, quando la law firm ha comunicato che “il deterioramento della reputazione, la campagna mediatica e l’assedio finanziario” hanno portato inevitabilmente la società a chiudere.
La chiusura arriva quindi due anni dopo l’inchiesta sui Panama Papers. La società afferma che “continuerà a chiedere giustizia per dimostrare che nessun crimine è stato commesso”.
Il fascicolo
I “Panama Papers”, chiamati così in riferimento alla sede nazionale della Mossak Fonseca, sono stati il più grande furto di dati della storia: 2,6 terabyte di file – 11,5 milioni di documenti relativi società, trust, fondi in 21 paradisi fiscali.
Il primo report basato sul congiunto di tutti i documenti è stato pubblicato il 3 Aprile 2016 sul sito del “Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi” (ICIJ) grazie all’impegno di circa 400 giornalisti e 107 organizzazioni informative di oltre 80 paesi.
I dati hanno coinvolto oltre 200 paesi: governi di Europa, Africa, Asia e America. Nei fascicoli sono menzionati i leader di 5 paesi: Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Islanda e Ucraina; ma anche funzionari di governo di più di 40 paesi nel mondo, tra cui l’Italia.
Tra in nomi importanti che si citano all’interno del documento di tutti i personaggi che avrebbero usufruito dei servizi della Mossak Fonseca citiamo: il presidente dell’Argentina Mauricio Macri, il capo di stato islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson (costretto alle dimissioni dopo la pubblicazione del fascicolo), il padre dell’ex primo ministro inglese David Cameron, molti amici fedele al presidente russo Vladimir Putin, l’ex presidente della UEFA Michel Platini, il giocatore Lionel Messi, Flavio Briatore, Silvio Berlusconi, Adriano Galliani e molti altri ancora. Un tripudio di nomi proveniente da tutto il mondo, compresa l’Italia.
Fino ad oggi grazie ai Panama Papers sono stati recuperati più di un miliardo e 200 mila dollari. Le società di vigilanza sono ancora a lavoro per accettarsi di tutti i possibili casi in cui sia verificata evasione fiscale.
Offshore: legale o no?
Aprire e gestire una società offshore non è necessariamente illegale, in molti casi vi è liceità nell’avere società in paradisi fiscali, a patto che si rispetti una quota di soldi che è possibile gestire e che tutto ciò venga dichiarato alle autorità del proprio paese.
Per sfruttare i vantaggi di una società offshore non è necessario traferire le ricchezze nel paradiso fiscale, basta che in quel posto abbia la sede una struttura legale e i beni di tale possono poi essere gestiti in un patrimonio dall’altra parte del mondo.
L’obiettivo è proprio quello di rendere legale qualcosa che sembra ad un primo acchito non consentito dalla legge. Spesso però la mancata dichiarazione e il non rispetto delle norme porta comunque ad un fenomeno illecito.
In uno dei documenti dei Panama Papers si può leggere una nota della Mossak Fonseca in cui si afferma che “il 95% del nostro lavoro coincide con la vendita di sistemi per evadere le tasse”. Ancora oggi non ci sono risvolti in un processo che potrebbe richiedere veramente molto tempo, risalire ad ogni fonte in un mercato offshore come questo è un’impresa molto complessa.
La difesa di chi sostiene questo tipo di società è la facilità con cui si può intensificare il movimento di capitali, ampliando cosi il flusso di capitale nel mondo.
Il vero problema è un altro: questi tipi di società hanno valori etici e morali molto spesso nulli. I soldi possono provenire da qualsiasi fonte, legale o meno, e può essere molto complesso risalire all’origine. Inoltre non vengono rispettati i principi base dell’economia, come quello della libera concorrenza, andando a impattare in modo negativo non solo sull’economia e il benessere sociale di quel “paradiso fiscale”, ma anche su quelli di tutto il mondo.