Il tema dei paradisi fiscali e della conseguente elusione fiscale è un argomento sempre più scottante nelle discussioni politiche a livello sia nazionale che internazionale. Da sempre i cittadini più facoltosi hanno cercato di pagare meno tasse possibili, ma ad oggi, con i giganti del web e con le grandi aziende, tale fenomeno ha assunto proporzioni impressionanti. Il mondo è costellato da paradisi fiscali, dai più antichi e famosi, come le Isole Cayman e la Svizzera, ai più moderni, come gli Emirati Arabi Uniti e Macao. Tutti questi Paesi, pur essendo così distanti geograficamente, si contraddistinguono per alcune caratteristiche comuni, la prima delle quali è che garantiscono un prelievo basso o nullo in termini di tasse sui depositi bancari, attraendo così capitali esteri.
L’OCSE definisce “paradiso fiscale” un Paese che presenta:
- Imposizione fiscale bassa o prossima allo zero;
- Sistema “ring fenced”, cioè una tassazione con grande disparità tra redditi generati all’interno e all’esterno;
- Assenza di trasparenza sulle transazioni effettuate;
- Mancanza di scambio di informazioni con altri Paesi;
- Elevata capacità di attrarre società aventi come unico scopo quello di occultare movimenti di capitale.
Si può facilmente intuire come essi risultino estremamente attrattivi sia per le multinazionali che per aziende di più modeste dimensioni, che cercano di pagare così il minor numero di imposte possibile.
I vantaggi offerti dai paradisi fiscali
I paradisi fiscali possono essere distinti principalmente in quattro categorie diverse.
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Pure Tax Haven: non impongono tasse, o ne esiste soltanto una di valore nominale, e garantiscono l’assoluto segreto bancario;
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No Taxation of Foreign Income: viene tassato soltanto il reddito prodotto internamente;
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Low Taxation: si ha una bassa tassazione fiscale sul reddito generato, prodotto sia internamente che esternamente;
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Special Taxation: sono Paesi che permettono la costituzione di società flessibili, ma che hanno un regime fiscale impositivo paragonabile a quello dei Paesi normali.
Tuttavia i vantaggi che si possono ottenere da tali Paesi non hanno soltanto a che fare con la tassazione più bassa: essi infatti permettono di eludere, anche in maniera legale, regole che in altri Paesi sono più restrittive. In particolare, oltre al vantaggio fiscale, si hanno spesso norme bancarie e sul riciclaggio di denaro molto più permissive o anche normative tecniche e commerciali meno stringenti. Ogni Paese ha una sua diversa “specializzazione”: la Liberia per esempio ha la più grande flotta di petroliere del mondo, pur essendo uno dei Paesi più poveri, perché non ha mai sottoscritto la convenzione internazionale che obbliga queste navi ad avere il doppio scafo; invece l’80% degli Hedge Funds è registrato alle Isole Cayman.
Le società offshore
Molti paradisi fiscali sono utilizzati per la creazione di società offshore, ovvero aziende ed organizzazioni che hanno la propria sede legale in un Paese diverso da quello in cui sviluppano gli affari principali. La creazione di società offshore è molto semplice, dal momento che esistono siti che per 1500-4000 dollari consentono in pochissimo tempo di creare una società nel Paese prescelto. Dopo la registrazione generalmente viene nominato un direttore esecutivo della nuova compagnia, in modo da tenere nascosta l’identità del soggetto ideatore dell’operazione. La documentazione richiesta per la creazione di tali società consiste soltanto in un documento di identità e una bolletta che indichi dove si è effettivamente residenti; ovviamente anche in questo caso si può fare ricorso ai prestanome per una maggiore sicurezza. In totale l’operazione si conclude in meno di 48 ore e spesso assume le proporzioni di un complesso sistema di scatole cinesi.
Un esempio
Ora è utile capire il funzionamento effettivo di tali società. Semplificando i meccanismi si può fare il seguente esempio. Una società italiana, chiamata Italy-Company, vende in Germania per un valore di 10.000 € delle merci che hanno un costo di 4000 €. I 6000 € di profitti generati da tale operazione vengono tassati letteralmente dove decide la società: essa può creare altre due compagnie di sua proprietà, una in un paradiso fiscale (chiamata Paradise-Company) e una in Germania (Germany-Company).
Se Italy-Company vende le merci per 4000 € a Paradise-Company e quest’ultima le rivende a Germany-Company, che poi si occuperà della distribuzione delle merci in Germania, i profitti vengono registrati e tassati nel paradiso fiscale, senza che le merci transitino fisicamente nel suddetto Paese. In questo modo Italy-Company non paga tasse sui profitti generati dall’operazione iniziale nel Paese di residenza. Il meccanismo di funzionamento delle società offshore è molto più complesso dell’esempio, tuttavia la base è la stessa.
Addirittura la transazione dalla società iniziale verso quella situata nel paradiso fiscale può avvenire anche in perdita, in modo che la prima benefici anche di sgravi fiscali o di altre forme di sostegno. Il meccanismo di transfer pricing appena descritto è largamente utilizzato proprio per eludere la tassazione nel Paese di residenza. Grazie a sistemi burocratici e scappatoie legali, le multinazionali possono registrare la maggior parte dei propri guadagni come aventi luogo sotto la giurisdizione dei paradisi fiscali. Si registrano così casi “curiosi”, come ad esempio esportazioni di succo di mela a 1012 $ al litro o spazzolini da denti a 5600 $ l’uno.
È importante sottolineare che aprire una società offshore non è una pratica illegale, come si potrebbe pensare, a patto che la quantità di soldi gestiti e ogni altra informazione rilevante venga dichiarata alle autorità del proprio Paese. Il crimine delle società offshore è quello di fungere da paravento per altre società in maniera da aiutare queste ultime ad aumentare i propri profitti.
Come si combattono i paradisi fiscali?
L’Unione europea, dopo lunghissime trattative, nel dicembre 2017 ha stilato una lista di 17 paradisi fiscali: Samoa Americane, Bahrein, Barbados, Grenada, Guam, Corea del Sud, Macao, Isole Marshall, Mongolia, Namibia, Palau, Panama, Saint Lucia, Samoa, Trinidad e Tobago, Tunisia ed Emirati Arabi. Tali Paesi saranno inseriti in una black list, dal momento che non rispettano i requisiti di trasparenza fiscale, tassazione equilibrata ed applicazione delle norme OCSE sul trasferimento dei profitti da uno Stato all’altro. Altri 47 Paesi, tra i quali sono presenti alcuni celebri paradisi fiscali (Svizzera, Isole Cayman, Jersey) sono stati inseriti in una “lista grigia”, in quanto hanno promesso misure di maggior trasparenza. Questa scelta dell’UE ha attirato numerose critiche da parte di Oxfam per le numerose incongruenze, in quanto le liste sono più frutto di trattative diplomatiche che di parametri oggettivi.
Come si può notare dalla mappa che segue, il numero dei paradisi fiscali si riduce mese dopo mese, rendendo così sempre più difficile detenere illegalmente beni e capitali all’estero in aree al sicuro dal segreto bancario.
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