Dimentichiamoci del più classico dei binomi, quello per cui l’occupazione è direttamente proporzionale alla crescita. Il legame ormai precario è dovuto a quell’innovazione tecnologica di cui tanti parlano; in pochi però riescono a dare una versione chiara di quelli che saranno i suoi effetti sul contesto occupazionale globale. Ed è proprio in uno dei più ricchi paesi al mondo che alcune delle principali aziende hanno annunciato la volontà di eliminare migliaia di posti di lavoro. Stiamo parlando della Germania, il cui tasso di crescita per il 2018 è stato recentemente rialzato dall’1,4% al 2% e dal surplus di bilancio di 31,5 miliardi di euro.
Tuttavia la sua principale Banca, Deutsche Bank, ha appena annunciato, tramite la figura del suo amministratore delegato John Cryan, che dai 97 mila attuali dipendenti taglierà entro il 2021 altri posti di lavoro, che andranno ad aggiungersi ai 9 mila esuberi del 2015. Cryan ha motivato la scelta dichiarando che sono ancora tante le possibilità di meccanizzazione non ancora sfruttate da parte della sua società. «Dalla robotizzazione – ha sostenuto l’ad britannico – possiamo guadagnare i margini maggiori. Siamo troppo basati sul lavoro manuale, il che ci rende esposti a errori e inefficienti. C’è molto che possiamo imparare dalle macchine e possiamo fare molta meccanizzazione». La sua conclusione è logica: «Diamo lavoro a 97 mila persone e la maggior parte dei nostri competitori ha metà di quegli impiegati». Altro caso è quello di Siemens, il cui ad Joe Kaeser ha annunciato 6 mila esuberi. Egli infatti si è sempre dimostrato un grande fautore della meccanizzazione e del suo principale vantaggio di riduzione dei costi.
Al centro dell’attenzione c’è anche Volkswagen il cui presidente, Herbert Diess, ha presentato a Wolfsburg il piano sul futuro, frutto dell’accordo con il consiglio di fabbrica, che prevede il taglio di 30 mila posti di lavoro globali, di cui 23 mila solo in Germania. Volkswagen investirà invece 3,5 miliardi di euro nell’elettromobilità e nella digitalizzazione, con 9 mila posti di lavoro nuovi nel settore del software. «Ristrutturiamo in modo radicale Volkswagen per renderla pronta al grande cambiamento che affronterà il settore dell’auto», ha aggiunto Diess. «Un grande passo in avanti, uno dei più grandi della storia dell’azienda. Non ci saranno licenziamenti legati alla produzione».
Con le misure contenute nel patto, Volkswagen conta di migliorare di 3,7 miliardi di euro all’anno fino al 2020 il risultato operativo, secondo quanto riferito dall’azienda e riportato dall’Handelsblatt, con 3 miliardi risparmiati negli stabilimenti tedeschi e 700 milioni in quelli all’estero. L’intero gruppo Volkswagen occupa 624 mila addetti, 282 mila dei quali in Germania. Il taglio dei 30 mila posti di lavoro sarà accompagnato da ammortizzatori sociali come il prepensionamento progressivo, ha spiegato il presidente Diess nella conferenza a Wolfsburg. Non sono stati forniti dettagli su come la ristrutturazione (che accanto ai 30 mila licenziamenti prevede 9 mila assunzioni nel settore del software) si rifletterà sugli stabilimenti.
Proprio in Volskwagen il programma è impostato ormai da due anni. Nell’ottobre del 2014, infatti, il capo del personale Horst Neumann spiegava alla stampa: «Nei prossimi 15 anni andranno in pensione 32 mila persone; non verranno rimpiazzate. Nell’industria automobilistica tedesca il costo del lavoro è superiore ai 40 euro all’ora, nell’Europa dell’est sono 11, in Cina 10. Oggi il costo di un sostituto meccanico per lavori di routine in fabbrica si aggira intorno ai cinque euro. E con la nuova generazione di robot diventerà presumibilmente ancora più economico. Dobbiamo essere in grado di sfruttare questo vantaggio economico».
Gli ammortizzatori sociali sono finanziati dallo stato o dai fondi previdenziali accantonati. Ma in ogni caso, a prescindere dal fatto che vengano utilizzati o meno, il fulcro della questione è che questo processo di “distruzione” dei posti di lavoro è mondiale e non prevede attualmente una quantità di nuovi lavori in grado di sostituire quelli che si vanno perdendo. Vedremo come la situazione verrà risolta in un paese come la Germania, dove le relazioni tra sindacati e aziende sono sempre state basate sulla collaborazione e la partecipazione degli stessi rappresentanti dei lavoratori alle riunioni del consiglio. Il tutto considerando anche le promesse fatte dalla neo-rieletta premier Merkel durante la sua campagna elettorale, nella quale ha affermato di voler portare la Germania al punto di piena occupazione entro il termine della sua legislatura.
I primi effetti della concorrenza tra uomo e macchine sono evidenti: in primis la stagnazione dei redditi, che per troppo tempo sono rimasti al palo nei paesi più sviluppati nonostante la crescita economica. Logica conseguenza è la bassa inflazione, pensiero che attanaglia la mente dei banchieri centrali, primo tra tutti Mario Draghi. Altro problema è di carattere sociale, ossia l’allargamento della forbice tra chi godrà dei vantaggi dell’automatizzazione e chi si vedrà spazzato via perché considerato sostituibile dall’impiego di un macchinario.