Il Patto di Stabilità e Crescita è un insieme di regole sottoscritto dai Paesi Membri dell’Unione Europea nel 1997 al fine di salvaguardare i parametri di accesso all’Eurozona: deficit al 3% e rapporto Debito-PIL al 60%. Da quell’anno ad oggi, il Patto è stato modificato in diverse occasioni al fine di rafforzare la gestione e il coordinamento dei conti pubblici.
Il Patto nasceva in risposta alla necessità di un documento che desse rigore alle politiche fiscali dei singoli stati, monitorandole e coordinandole. Inoltre, all’interno venivano definite le procedure sanzionatorie per coloro che non soddisfacevano i requisiti di ammissione all’Unione Economica e Monetaria. Da quel momento, gli Stati Membri hanno quindi l’obbligo di redigere un programma triennale di finanza pubblica, detto “programma di stabilità”. In aggiunta, l’Unione prevede di adottare procedure per deficit eccessivo qualora uno stato membro superi il 3% di disavanzo rispetto al PIL se non “in maniera eccezionale e temporanea”, come si può trovare nel testo del Patto.
Tra passato e presente
Alla sua forma primordiale, il Patto, tra le varie regolamentazioni, prevedeva che il limite massimo del deficit pubblico al 3% potesse assicurare la stabilità del debito pubblico al 60% del PIL di un Paese che cresceva a un tasso nominale annuo del 5%. Tale valore veniva calcolato come somma di un’inflazione del 2% e una crescita potenziale annua del 3%, vale a dire il tasso di crescita al netto dell’inflazione che può essere sostenuta nel medio-lungo termine. Il tasso del 3% è in linea con la crescita potenziale degli anni Novanta, periodo in cui il Patto nasceva.
L’accordo, però, non faceva distinzione tra i singoli Stati Membri, ma adottava un’ottica universale nel definire i parametri della crescita potenziale. Inoltre, è stato criticato sia per questioni di prociclicità, ossia per favorire l’andamento negativo dell’economia in fasi di recessione, sia per la prospettiva di breve termine con cui veniva applicato. Infatti, con il Patto si teneva conto dell’andamento del debito pubblico e del saldo di bilancio dello Stato solamente secondo un’ottica annuale, senza considerare le dinamiche del debito su un orizzonte temporale maggiore.
Il Patto veniva inizialmente rivisto nel 2005 per ovviare al problema della prociclicità e a quello dell’universalità delle regolamentazioni. Nel primo caso, era stata data maggiore enfasi alla sorveglianza delle dinamiche dei saldi strutturali, ovvero la situazione di bilancio dello Stato indipendentemente dall’evoluzione del sistema economico. Nel secondo, gli Stati Membri venivano obbligati ad introdurre nei loro programmi di stabilità obiettivi di medio termine, quindi con un orizzonte temporale di tre anni, tenendo conto della specificità della propria situazione economica, per raggiungere una posizione di bilancio in prossimità al pareggio o in avanzo.
Le modifiche sono continuate nel 2011, dopo la messa in discussione del Patto per via del marcato aumento dei disavanzi negli anni della crisi finanziaria e alla luce della crisi del debito sovrano. Tali eventi hanno fatto emergere l’interdipendenza delle economie europee e quanto sia necessario uno stretto coordinamento economico e di bilancio tra i Paesi dell’Unione Europea.
Il Six Pack
Il primo emendamento consiste nel “six-pack”, ossia sei proposte legislative, di cui cinque regolamenti e una direttiva, che riguardano, rispettivamente:
- la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, poiché questi possono avere effetti negativi sull’economia di uno Stato Membro o dell’intera unione. Gli squilibri macroeconomici possono essere sia interni, come il tasso di disoccupazione, sia esterni, come saldo tra esportazioni e importazioni lontano dallo zero;
- le misure per la correzione di tali squilibri se eccessivi;
- l’accelerazione e il chiarimento dell’attuazione della procedura per disavanzi eccessivi;
- il rafforzamento della sorveglianza e del coordinamento delle politiche macroeconomiche, come la politica fiscale;
- l’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio;
- i requisiti per i quadri di bilancio degli stati membri.
Questa modifica rafforza il monitoraggio delle politiche di bilancio e definisce un nuovo criterio per la riduzione del rapporto debito-PIL. Ora, infatti, se la percentuale di debito rispetto al PIL è oltre il 60%, deve essere diminuita secondo la seguente relazione:
[(Rapporto Debito-PIL) – soglia standard]/20
ossia, il rapporto deve essere ridotto, annualmente, di un ventesimo della differenza tra l’ammontare del rapporto corrente e la soglia standard del 60%. Ad esempio, con un debito pubblico del 120% del PIL, il Paese ha un eccesso di 60 punti e tale differenza deve essere ridotta di un ventesimo all’anno, vale a dire di 3 punti di PIL ((120-60)/20). Con questo nuovo criterio, l’ottica annuale secondo cui il debito pubblico viene considerato di anno in anno viene abbandonata. Viene quindi utilizzata una prospettiva più lungimirante che permette di considerare l’intero andamento dello stock di debito.
Susseguentemente, la Commissione Europea presenta altre due proposte (two-pack) per migliorare e rafforzare il precedente emendamento (six-pack). In particolare, i due nuovi regolamenti proposti fanno riferimento a:
- Il rafforzamento della sorveglianza dei conti pubblici nei confronti degli stati membri che hanno o rischiano di avere gravi difficoltà economico-finanziarie;
- Il monitoraggio e la valutazione dei singoli progetti di bilancio nazionali ancor prima che lo Stato approvi la legge di bilancio (sorveglianza ex ante).
Il Fiscal Compact
Le proposte legislative precedenti non bastano a sostenere i conti pubblici nazionali durante i periodi di crisi. Per questo motivo, l’architettura di salvaguardia alla sostenibilità dei conti pubblici dell’Eurozona si compone di un nuovo pilastro: il Trattato sulla Stabilità, il Coordinamento e la Governance (TSCG, oppure Patto di Bilancio Europeo o più comunemente Fiscal Compact). Questo, entrato in vigore nel 2013, rafforza la normativa vigente di quegli anni e obbliga i Paesi membri ad introdurre nella propria legislazione, a livello costituzionale, una regola di bilancio che preveda un limite al deficit strutturale, ossia il saldo di bilancio corretto per il ciclo economico, dello 0,5% del PIL.
Il Patto di Stabilità e Crescita oggi
Oggi come allora il Patto influenza molto la politica economica nazione, ma risulta ancora più forte per lo schema normativo costruitogli attorno. Ad oggi il Patto di Stabilità e Crescita ha due componenti: il “braccio preventivo” al fine di evitare che i Paesi Membri sforino i limiti sanciti, e quello “correttivo”, che riguarda i capisaldi del Patto al suo stato originale, limite del deficit al 3% e del rapporto debito-PIL al 60%.
Componente preventiva
Due sono le regole principali di questo braccio: Obiettivo di Medio Termine (OMT) e la regola della Spesa. L’Obiettivo di Medio Termine, specifico paese per paese, definisce il livello del deficit strutturale, ossia quella componente del deficit pubblico che non segue la congiuntura economica, positiva o negativa che sia. La Regola della Spesa, invece, riguarda il valore massimo che uno Stato può sostenere in termini di crescita della spesa pubblica, condizionale al raggiungimento dell’OMT.
Se le norme del braccio preventivo non vengono rispettate si apre una Procedura per Deviazione Significativa (PDS) articolata su tre fasi:
- avvertimento della Commissione Europea al Paese Membro con successiva verifica della situazione dello Stato entro un mese;
- raccomandazione della Commissione allo Stato circa l’adozione di specifiche misure per correggere il sentiero dell’OMT;
- sanzione, qualora il Paese Membro risultasse inadempiente, consistente in un deposito fruttifero presso la Commissione i cui interessi maturati saranno restituiti allo Stato una volta venuto meno l’inadempimento.
Componente correttiva
Il braccio correttivo stabilisce quali azioni devono essere intraprese dai Paesi Membri nel caso in cui il loro debito pubblico e/o disavanzo di bilancio vengano considerati eccessivi. Si apre quindi una Procedura per Disavanzo Eccessivo (PDE), detta anche procedura d’infrazione, presentata dalla Commissione Europea. Una volta votata a maggioranza dal Consiglio Economia e Finanza, l’organo in cui si riuniscono tutti i Ministri delle Finanze degli Stati Membri, tale proposta deve essere adottata nell’immediato dal Paese Membro seguendo le raccomandazioni presenti sul documento. In caso di inadempimento, lo Stato potrebbe avere l’obbligo di effettuare un deposito infruttifero per un ammontare massimo pari allo 0,2% del PIL. La Procedura può essere sospesa soltanto se la correzione del deficit eccessivo è duratura e, contemporaneamente, il debito è in linea con gli Obiettivi a Medio Termine definiti dallo Stato.
La Commissione Europea, prima di aprire una Procedura per Disavanzo Eccessivo, considera tre aspetti fondamentali nella valutazione del superamento delle soglie da parte degli Stati Membri. Uno Stato, infatti, ha la possibilità di evitare di incorrere in una PDE se il superamento è dovuto a :
- investimenti pubblici finalizzati a finanziare il Fondo Europeo per gli investimenti strategici, costituito dalla Commissione Europea e dalla Banca Europea degli Investimenti, o investimenti co-finanziati dal Fondo;
- riforme strutturali che abbiano un effetto diretto positivo sul bilancio dello Stato (ad esempio, le riforme pensionistiche);
- la situazione economica dello Stato. Se lo Stato è in una situazione negativa (ad esempio, in recessione), la Commissione richiede un minore sforzo nel mantenere il saldo di deficit strutturale allo 0,5%.
Questa flessibilità, concessa agli Stati Membri con la Comunicazione della Commissione Juncker del 2015, va contro il principio fondamentale del Patto, la parità di trattamento per gli Stati Membri. Ma ne scongiura la critica dell’eccessiva rigidità e permette ai singoli Paesi di avere un margine di manovra nel definire le politiche fiscali senza incorrere in un inasprimento del livello di indebitamento.
Riforme future
Nonostante le varie riforme e la flessibilità concessa, i commenti a discapito di questo complesso normativo non cessano. Il quadro macroeconomico è cambiato notevolmente e, a detta dei detrattori, il Patto di Stabilità e Crescita rimane troppo rigido sia nel calcolo dei parametri oggetto dell’accordo (deficit pubblico, deficit strutturale e debito in rapporto al PIL), sia nel meccanismo di concessione di tali deroghe a beneficio dei conti pubblici. Tuttavia, l’Italia è tra gli Stati Membri che ne hanno beneficiato maggiormente nel quadriennio 2015-2018, ricevendo circa 30 miliardi di euro di flessibilità da parte dell’Unione Europea. Questo spazio fiscale è stato poi utilizzato dall’Italia per evitare l’aumento dell’IVA e per finanziare la spesa corrente, ossia la componente della spesa pubblica che concerne i consumi, le prestazioni sociali, i redditi da lavoro e il pagamento degli interessi sul debito.
Alla luce di questi problemi, il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, nel suo discorso davanti all’Europarlamento, ha annunciato di rivedere il Patto cercando di aggiornarlo e semplificarlo. Un Patto che conceda più facilmente flessibilità ai conti pubblici, che sia diretto alla green economy, in linea con il Green New Deal che vorrà perseguire la neo-proclamata Commissione.
Tale cambiamento inizierà senza modificare i Trattati costituenti, rivisitando solamente alcuni parametri, come il deficit strutturale, ora allo 0,5%, e gli OMT. Per arrivare a una modifica dei Trattati, occorre completare un percorso che potrebbe durare anni, fino alla fine della legislatura dell’attuale Commissione che avverrà nel 2024.