Da dieci anni ormai uno dei dibattiti più accesi riguarda l’argomento pensioni. Il legislatore italiano ha profuso molto impegno nel riformare il modo in cui i lavoratori italiani possono godersi il meritato riposo dopo anni di lavoro, cercando di essere al passo con gli altri Stati europei. Grande importanza, recentemente, ha avuto l’art. 24 del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, la cosiddetta “riforma delle pensioni Fornero” (di cui abbiamo parlato in questo articolo), che ha continuato la serie di riforme della struttura pensionistica italiana intraprese in precedenza. Ancora oggi essa suscita forti contrasti fra le forze politiche ed è stata la chiave della campagna elettorale del M5s e della Lega, che ne propongono l’abolizione. Cerchiamo di capire cosa sono le pensioni, facendo riferimento alla teoria economica sottostante e definendo i motivi per cui il sistema pensionistico italiano vive un periodo di forte crisi.
Cos’è la pensione?
Ogni lavoratore, in base alla professione che svolge, “versa i contributi”: una parte dello stipendio che riceve viene accantonata, per poi essere ricalcolata alla fine della sua età lavorativa ed erogata quindi mensilmente una volta in pensione. L’obiettivo di un tale sistema è quello di permettere a ciascun cittadino, quando ormai non è più in grado di lavorare per motivi di età, di mantenere costante il proprio tenore di vita per quanto riguarda il consumo di beni e servizi.
A livello di teoria economica, esistono due tipi di sistema pensionistico, indicati come FF e PAYG. Proviamo ad illustrarli.
-
FF (Fully Funded). I contributi versati vengono gestiti in modo separato per ciascun lavoratore e quando egli raggiunge l’età pensionabile vengono erogati; economicamente, questo tipo di sistema pensionistico non genera distorsioni (è infatti chiamato sistema di first best, ovvero “soluzione ottima”).
-
PAYG (Pay As You Go). Questo sistema, a differenza del precedente, è reputato distorsivo dagli economisti (quindi di second best), perché si basa su un patto intergenerazionale: i contributi versati dai lavoratori non vengono accantonati, ma sono usati per pagare le pensioni di coloro che in quel determinato momento sono in età pensionabile; in altre parole, i contributi dei lavoratori si traducono nei versamenti effettuati mensilmente ai pensionati.
È poi necessario distinguere fra sistemi pensionistici privati o pubblici. I sistemi privati (per lo più gestiti da fondi pensione o determinate compagnie di assicurazione) si basano principalmente sul modello FF: i contributi versati mensilmente dai lavoratori che aderiscono al fondo pensione vengono investiti, quindi viene attuata una gestione del risparmio studiata ad personam per ogni tipo di lavoratore, in base alle sue esigenze e caratteristiche. I sistemi pensionistici pubblici si basano in larga misura su un modello PAYG, e quindi abbracciano il cosiddetto patto intergenerazionale; di solito il versamento e l’erogazione di contributi vengono gestiti da un ente pubblico (in Italia se ne occupa l’INPS).
La crisi dei sistemi pensionistici
Analizzando lo stato di crisi del sistema previdenziale italiano (basato sul modello PAYG), si può affermare che il problema non è di carattere né politico né tecnico, bensì demografico: negli ultimi quindici anni, secondo l’ISTAT, la speranza di vita in Italia (fra le più alte al mondo insieme a Giappone e Spagna) è aumentata in maniera notevole, toccando quota 84 per gli uomini e 86/87 per le donne. In aggiunta, il tasso di crescita della popolazione, correlato al tasso di natalità, non fa da contrappeso, essendo diminuito fortemente nell’ultima decade; insomma, l’Italia è sempre di più un “paese per vecchi” (i dati sono reperibili su www.istat.it).
Tutto questo è intensificato dal fatto che, attualmente, l’età media di ingresso nel mercato del lavoro è 30 anni, quindi relativamente alta. In queste condizioni il modello PAYG su cui si basa il nostro sistema pensionistico pubblico viene messo a dura prova: essendoci sempre meno lavoratori e sempre più persone anziane (e quindi “pensionabili” o pensionate), si riscontrano molte difficoltà nel trovare una giusta coincidenza tra contributi versati dai lavoratori e versamenti erogati a favore dei pensionati.
Le possibili soluzioni
In questa situazione, per cercare di mantenere il corretto funzionamento del sistema PAYG, l’unico intervento efficace è l’innalzamento dell’età pensionistica, in maniera tale da poter reperire più contributi possibili, naturalmente con tutte le conseguenze che questa scelta comporta: entrata nel mondo del lavoro sempre più posticipata, lavoratori non nel pieno delle loro forze fisiche, quindi problemi di efficienza e produttività, e via dicendo.
Ultimamente, ciò che la maggior parte degli Stati (compresa l’Italia, seppur con qualche ritardo) sta per iniziare a sperimentare, invece, è il passaggio da un sistema previdenziale pubblico a uno privato, basato su un modello FF, quindi non distorsivo: il processo è molto lungo e pone non pochi problemi di valutazione e attuazione, ma si ritiene sia l’unico modo di risolvere il problema attuale, essendo venuto meno il patto intergenerazionale su cui si fonda il sistema pensionistico pubblico odierno.
Potrebbe interessarti anche il seguente articolo:
https://startingfinance.com/la-riforma-fornero/