I PIR (Piani Individuali del Risparmio) rientrano, insieme al Piano Industria 4.0, tra le misure varate dal precedente Governo per sostenere il tessuto produttivo italiano e in particolare le piccole e medie imprese. Si tratta infatti di “contenitori fiscali” all’interno dei quali sono presenti vari tipi di strumenti, accomunati dal fatto che almeno il 70% del capitale raccolto viene investito in piccole e medie imprese aventi stabile organizzazione in Italia, perlopiù non quotate sull’indice principale di Borsa Italiana (FTSE MIB).
Il principale beneficio e motivo d’interesse per gli investitori è indubbiamente l’esenzione fiscale di cui questi strumenti godono se vengono tenuti in portafoglio per almeno 5 anni, una condizione volta ad incentivare il lungo orizzonte dell’investimento e quel capitale “paziente” che può essere molto utile nella crescita delle aziende.
Luci e ombre nei risultati dei PIR
In effetti, le agevolazioni fiscali hanno sortito i loro effetti e gli investimenti raccolti nel primo anno e mezzo hanno ampiamente superato le attese. Tra il gennaio 2017 e il giugno 2018 sono stati lanciati 70 prodotti PIR, che hanno raccolto complessivamente 14,4 miliardi di euro. Alcune stime, come quella citata da Stefano Firpo, direttore generale del Ministero dello Sviluppo Economico, parlano addirittura di 18 miliardi: si tratta di un miliardo in più ogni mese a disposizione delle PMI nostrane.
Andando a scomporre più nello specifico questi risultati emergono luci e ombre, già presenti nel primo seppur roseo periodo. Infatti, a norma di legge, i fondi realmente destinati alle aziende di piccole e medie dimensioni che non siano quotate sul FTSE MIB ammontano al 21% del totale. Questo ha comportato che l’extra rendimento registrato sul mercato principale di Borsa Italiana sia stato compreso tra il 12% e il 18% per tutto il 2017, mentre gli effetti su Aim, il segmento di mercato destinato alle PMI, si sono fatti sentire solo più tardi.
La scarsa liquidità e la presenza di pochi titoli in tale mercato hanno comunque provocato una concentrazione della domanda e un ingigantimento della volatilità, con un picco di extra rendimento stimato a fine 2017 superiore al 20%. I volumi di scambio giornalieri sono passati dai 27 milioni di euro del 2016 ai 165 milioni nel 2017, un incremento di più del 600%. Nello stesso anno le IPO a Borsa Italiana sono state 32, di cui addirittura 24 sull’Aim.
L’uso improprio dei PIR
La maggior parte dei fondi è stata però destinata al mercato secondario e quindi alla negoziazione di azioni già quotate, non comportando di fatto alcun tipo di beneficio alle nuove emissioni. A maggior ragione, sono rimaste completamente escluse quelle aziende – che rappresentano la stragrande maggioranza – che ancora non hanno azioni quotate in uno qualsiasi dei vari segmenti di Borsa Italiana.
Come ha sottolineato Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt): «Ben poco di questo denaro è andato a finanziare direttamente le aziende e neanche un euro è finito nelle casse delle imprese non quotate attraverso strumenti di finanziamento alternativi al credito bancario». Tipologie di investimenti quali private equity, venture capital, minibond, crowdfunding e P2P lending non hanno beneficiato in alcun modo del varo dei PIR.
Ciò che invece appare certo è che molti intermediari finanziari hanno sfruttato la ghiotta opportunità dell’esenzione fiscale per distribuire alla clientela i propri fondi d’investimento, ignorando totalmente la possibilità offerta dalla normativa di investire anche in altri strumenti. Molte critiche sono state mosse all’applicazione della misura, soprattutto da alcuni consulenti finanziari indipendenti. Essi hanno evidenziato come l’esenzione fiscale abbia permesso ai collocatori dei fondi di innalzare le commissioni, che in media ammontano al 10% lordo (con picchi del 15%) e vanno ad erodere la gran parte del vantaggio di non pagare tasse sul (solo potenziale) capital gain. Infine, la condizione temporale di permanenza nei PIR per ottenere il beneficio fiscale rappresenta un importante strumento di fidelizzazione della clientela, che viene spinta a detenere il fondo per almeno 5 anni.
Il rischio Italia affonda Piazza Affari e i PIR
A tale situazione, già di per sé contraddittoria, si sono andati ad aggiungere gli sviluppi degli ultimi mesi. Infatti, lo strumento è stato ampiamente pubblicizzato per le sue caratteristiche intrinseche, ovvero la possibilità di investire sull’Italia e in particolare su quell’ossatura del nostro tessuto produttivo, rappresentata dalle piccole e medie imprese, che finora sono sempre rimaste escluse dal grande flusso dei capitali. Proprio queste caratteristiche, però, potrebbero decretarne il declino: osservando la situazione dei mercati finanziari italiani negli ultimi mesi sarebbe più consono parlare non di flusso, ma di grande deflusso di capitali.
Una sempre crescente percezione del rischio Italia e i forti timori di un rallentamento del Pil hanno provocato un’emorragia di denaro da Piazza Affari, che nell’ultimo trimestre ha fatto registrare un -6% circa, che diventa un -11,4% nel semestre e un -13,4% su base annua. Analogamente il FTSE Italia PIR PMI All Index, che include i rendimenti di tutti i PIR emessi sul mercato, segna un -14,25% nel trimestre, che diventa un -15,8% nel semestre e un -19% su base annua. È ovviamente impossibile sapere quale sarà la situazione tra 5 anni, ma per il momento i risparmiatori italiani che hanno investito in PIR accusano delle pesanti perdite nel loro portafoglio.
Previsioni sfumate
Le perdite teoriche stanno anche scoraggiando i nuovi investimenti. Infatti, già nel primo semestre 2018 essi si sono fermati a 3,34 miliardi, in forte contrazione rispetto ai 5,6 miliardi del secondo semestre 2017. Le aspettative per il terzo e quarto trimestre del 2018 sono di un’ulteriore contrazione, tanto che alcuni intermediari hanno tagliato i loro obiettivi di raccolta per l’anno in corso: Equita Sim ad esempio ha rivisto i suoi obiettivi al ribasso del 7%. A questo punto sembra pura utopia quella che meno di un anno fa appariva come una previsione realistica effettuata da Intermonte SIM, secondo la quale l’industria dei PIR avrebbe potuto raccogliere circa 60 miliardi di fondi entro il 2021.
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