Una delle conquiste più importanti del pensiero keynesiano è stata la rivalutazione dell’intervento dello Stato in economia, seguendo determinati principi. Keynes infatti ribalta la visione della scuola economica classica (i.e. rivoluzione keynesiana), dichiarando come ineluttabile l’attivo intervento dei governi all’interno del sistema economico.
Uno dei capisaldi della scuola classica consisteva nell’assumere la variazione della spesa pubblica e delle imposte come stimoli inefficaci per l’economia. Da ciò ne derivava l’importanza della sola iniziativa privata. L’individuo, come guidato da una mano invisibile e compiendo scelte finalizzate a massimizzare il proprio vantaggio (piacere o utilità) sarebbe riuscito a raggiungere il massimo benessere individuale e, allo stesso tempo, la più efficiente allocazione delle risorse nell’economia.
Keynes, al contrario, prediligeva la politica fiscale, soprattutto quando la politica monetaria risulta inefficace. Questo può accadere nel caso si aumenti la quantità di moneta in circolazione quando il tasso di interesse si attesta a livelli molto bassi o prossimi allo zero.
Che cosa si intende per politica fiscale?
Sia la politica fiscale sia la politica monetaria sono politiche economiche, ossia interventi pubblici sull’economia del paese. La politica fiscale è uno strumento utilizzato dai governi al fine di influenzare il livello di spesa in consumi e investimenti da parte delle famiglie, delle imprese e del settore pubblico. Il livello desiderato viene raggiunto attraverso variazioni della spesa pubblica e del gettito fiscale.
In macroeconomia, il livello di spesa viene descritto dalla domanda aggregata. Nel modello, il rapporto reddito-spesa si calcola attraverso la formula:
Z = C + I + G + (X – IM)
C = consumi
I = investimenti
G = spesa pubblica
X = esportazioni
IM = importazioni
Tipologie di politica fiscale
La politica fiscale può essere espansiva o restrittiva.
- Se restrittiva, attraverso una riduzione della spesa pubblica o un aumento delle imposte, riduce il reddito aggregato.
- Se espansiva, attraverso un incremento della spesa pubblica o una riduzione delle imposte, provoca un aumento del reddito aggregato. Può essere utilizzata durante fasi di recessione economica, in genere caratterizzati da una diminuzione della produzione e un aumento della disoccupazione, al fine di incentivare l’attività economica.
American Recovery and Reinvestment Act (ARRA)
Tra gli interventi di politica fiscale più ampi dell’epoca contemporanea si può citare l’American Recovery and Reinvestment Act. È stato emanato nel 2009 dal congresso degli Stati Uniti e promulgato dal presidente Barack Obama al fine di stimolare l’economia americana.
Coprendo un arco temporale di dieci anni, l’ammontare approssimativo del pacchetto di stimolo è stato stimato inizialmente a 787 miliardi, anche se poi rivalutato a 862 miliardi di dollari. Oltre 200 Mld sono stati spesi nel 2009, 404 Mld nel 2010 e la restante parte negli anni successivi, pesando sul PIL per il 5,5%.
L’ARRA viene definito come il più grande piano di stimolo attuato nella moderna storia economica americana poiché, in precedenza, l’ammontare medio delle misure di stimolo non era mai stato superiore al 2,5% del PIL.
Le stime
Il Congressional Budget Office (CBO) ha stimato una serie di effetti dell’ARRA sul PIL americano. Tenendo conto degli effetti di breve e di lungo termine, il CBO ha stimato che l’ARRA ha causato un aumento del PIL rispetto alle previsioni di riferimento nel periodo 2009 – 2014. A partire dal 2015, ci si aspettava un PIL invariato o, nel peggiore dei casi, tendente al ribasso.
A livello mondiale, gli Stati Uniti sono stati i primi a riprendersi dopo il crollo del 2008. A distanza di quattro anni, la produzione economica per persona era ritornato ai livelli pre-crisi. A sette anni dall’introduzione dell’ARRA, l’economia americana aveva fatto esperienza dei migliori due anni di crescita di occupazione lavorativa dal 1990 sostenuta dal più veloce calo del tasso di disoccupazione degli ultimi tre decenni. Si stima che furono creati, fino al 2016, oltre 14 milioni di posti di lavoro, con un conseguente aumento del livello medio di reddito ad personam.
Il dibattito attuale
Dalla recente crisi finanziaria è rinato l’interesse per gli effetti macroeconomici della politica fiscale. Prima del 2008 infatti, la variazione della spesa pubblica e delle imposte al fine di stimolare l’economia era messo in secondo piano in favore della politica monetaria. Una possibile spiegazione di questo disinteresse è da ricercarsi nella scarsa fiducia posta in essa per i lunghi tempi di implementazione.
Tuttavia, la politica monetaria durante la spirale della Grande Recessione si è dimostrata sempre più inefficace a causa dei livelli prossimi allo zero dei tassi di interesse. Stati Uniti, Regno Unito e Cina in particolare, durante la crisi, hanno attuato molteplici interventi di politica fiscale. Nonostante sia ritornata in auge, i risultati sono ancora spesso incerti e controversi.