Durante la sua presidenza, Donald Trump ha imposto una serie di dazi verso numerosi paesi, tra cui in particolare la Cina, nonché quelli dell’Unione europea. Proprio in corrispondenza della sua elezione è possibile identificare un netto cambio di rotta nelle scelte statunitensi relative al commercio internazionale: dall’essere una potenza economica da sempre favorevole al multilateralismo, gli Stati Uniti sono passati al preferire accordi bilaterali, orientando in tale direzione le proprie scelte di politica economica.
Cosa sono i dazi?
Il dazio è una tassa, espressa come percentuale del prezzo del bene, che viene applicata ad un prodotto estero nel momento in cui entra sul mercato nazionale. Il bene daziato viene venduto quindi ad un prezzo maggiorato sul mercato nazionale: in tal senso, i dazi si configurano come misura protezionistica dei beni domestici. Ogni volta che viene applicata una tariffa commerciale lo Stato percepisce un gettito daziario, quantificabile come il prodotto tra il dazio e il valore delle importazioni.
A livello parziale, i costi ed i benefici di un dazio posso essere misurati in termini di surplus del consumatore e del produttore. Nel dettaglio, il dazio:
- crea un vantaggio per i produttori nazionali in termini di minore concorrenza;
- produce una doppia perdita per i consumatori, i quali fronteggiano prezzi maggiori e perdono una quota di surplus che passa al governo.
A livello aggregato, il dazio provoca una contrazione del commercio internazionale, come conseguenza della distorsione nella produzione e nel consumo.
Nella maggioranza dei casi l’applicazione di un dazio non si configura come un’azione unilaterale, ma provoca l’adozione di contromisure tariffarie da parte del paese colpito. Con il susseguirsi di azioni e reazioni, con cui ogni paese cerca di raggiungere la migliore situazione possibile per sé, si rischia tuttavia di arrivare al cosiddetto dazio proibitivo, in corrispondenza del quale si azzerano gli scambi commerciali. È proprio l’autarchia il principale rischio che i paesi corrono quando iniziano una guerra commerciale.
I dazi nei confronti della Cina
Le misure tariffarie nei confronti della Cina furono adottate per la prima volta nel gennaio del 2018. I motivi scatenanti furono principalmente due: lo spionaggio tecnologico ed industriale del gigante asiatico a danno delle aziende a stelle e strisce (che portò le due parti ad una lunga discussione sulla proprietà intellettuale) e gli aiuti di stato che Pechino elargisce ad aziende di settori emergenti, aiuti di cui Washington chiede una riduzione.
Ad oggi Trump ha introdotto dazi per un ammontare stimato di 250 miliardi di dollari di export made in China, circa la metà del valore delle importazioni cinesi nel continente americano. Tra i prodotti colpiti da dazi figurano anche alcuni beni intermedi, ovvero quei prodotti che vengono importati ed utilizzati nel ciclo produttivo per la produzione di un diverso bene finale, quali ad esempio i microchip.
Lo scenario mondiale attuale, tuttavia, si caratterizza per la presenza di una forte interdipendenza tra le varie economie e per la proliferazione delle catene globali del valore. Entrambi gli elementi rendono i tentativi protezionistici di Washington costosi per alcune tipologie di imprese americane: non tutte, per tale ragione, furono favorevoli all’introduzione dei dazi.
Dopo numerosi incontri e cambi di direzione, la situazione sembra aver raggiunto un punto di svolta durante il G20 di giugno. A seguito di un’intesa raggiunta con Xi Jinping, il presidente americano ha infatti confermato di non essere intenzionato ad applicare nuovi dazi ai prodotti cinesi, pur mantenendo quelli già in essere.
I dazi nei confronti dell’Unione europea
Nel caso dell’eurozona, i dazi furono introdotti per compensare gli aiuti di stato concessi, sotto forma di sussidi, da Bruxelles ad Airbus. Quest’ultimo è un concorrente diretto della compagnia americana Boeing; secondo Washington, i sussidi europei avrebbero causato concorrenza sleale tra i due colossi dell’aeronautica. Nel marzo del 2018, quindi, l’amministrazione Trump impose dazi pari al 25% sull’acciaio e al 10% sull’alluminio, a cui l’Unione europea rispose imponendo misure tariffarie verso prodotti americani per un ammontare di 2,8 miliardi di dollari.
La diatriba non può ancora considerarsi conclusa, viste le recenti minacce del presidente americano di imporre una nuova serie di dazi. Le categorie merceologiche oggetto della minaccia sono le automobili, le motociclette, i prodotti agroalimentari (tra cui i vini e l’olio d’oliva) e gli aerei civili Airbus; tutti prodotti che, a detta di Washington, avrebbero ricevuto aiuti illegittimi dall’UE.
Per i beni tassati si prospetta una diminuzione dei volumi esportati negli USA ed un possibile condizionamento negativo del prezzo di vendita. Le ripercussioni maggiori le subiranno i prodotti di alta qualità e con un prezzo elevato: la tassa causerà un ulteriore aumento del prezzo e questo potrebbe indurre i consumatori a spostarsi verso prodotti meno cari o di imitazione. Da parte sua Bruxelles ha già stilato una lista di prodotti americani sui quali, eventualmente, saranno applicati dazi in risposta alle scelte commerciali statunitensi.
La guerra commerciale iniziata dagli USA è ancora lontana dal raggiungere una fine, ma sono già osservabili alcune conseguenze, tra cui in primis la diminuzione del PIL in alcuni paesi del mondo, e sono chiari i rischi che essa comporta.