I risultati delle elezioni dello scorso 4 marzo in Italia sono stati molto chiari: uno schiaffo in piena faccia all’establishment. In realtà questa non è una reazione isolata, basti pensare alla vittoria di Trump negli Stati Uniti d’America e ai risultati della Brexit per rendersi conto che si tratta di un movimento globale di ribellione. Ma ribellione da cosa? Le risposte più quotate, quando si pone questa domanda, sono tutte piuttosto confuse: i poteri forti, la Casta, le Banche. Ma come è possibile che le Banche, da istituto di carattere sociale quale erano durante la Prima Repubblica, siano diventate bersaglio della rabbia delle masse popolari?
La privatizzazione degli intermediari creditizi e i vari scandali finanziari emersi negli anni Novanta così come nei primi anni Duemila hanno associato alle Banche una pessima reputazione che esse stanno scontando ancora oggi. Più in generale il “sentimento popolare”, come lo chiamava Battiato, si indigna principalmente per l’ingerenza della finanza sulla politica, percepita tramite la presenza, nei parlamenti nazionali, di lobbisti attivi per difendere gli interessi economici di ciascuna categoria. Lo scambio di favori, gli accordi sottobanco, la protezione di interessi: il tutto con l’obiettivo di mantenere la stabilità politica, grande amica dei mercati finanziari, anche a discapito dell’interesse generale.
L’influenza della politica sui mercati
Quello che non salta all’occhio è che il processo avviene anche al contrario: spesso la politica può influenzare notevolmente l’andamento dei mercati finanziari.
L’analisi fondamentale, baluardo degli accademici, si basa proprio sullo studio di quanto accade nell’ambiente esterno al mercato, guardando, fra le altre cose, proprio alla politica. Le ragioni fondamentali di questa influenza sono due: il potere decisionale della politica e la sua capacità di riflettere la realtà sociale di un Paese. Andiamole ad analizzare con più precisione.
Sebbene oramai le decisioni in materia monetaria vengano prese autonomamente dalle Banche Centrali, la politica mantiene un’influenza indiretta sui mercati finanziari grazie agli interventi in materia fiscale. Considerando che la politica fiscale ha un forte impatto sull’economia reale, in quanto genera i cosiddetti Market Mover, ovvero eventi in grado di influenzare i prezzi dei titoli sul mercato, questo potere non è da sottovalutare.
Il secondo motivo che spinge i trader a tenere sott’occhio gli avvenimenti e le dinamiche della politica è riassumibile in una rivisitata, ma efficace, espressione: «la politica è lo specchio dell’anima». Essa riflette la capacità di un Paese di affrontare le sfide e le decisioni economiche che si trova di fronte, per questo l’affidabilità della classe dirigente rappresenta un fattore determinante per gli investitori. Il clima politico riesce meglio di qualsiasi altro strumento a misurare la stabilità di un Paese.
Guardando alla seconda metà del 2011, quando il nostro Paese rischiava di fallire, capiamo che il motivo principale, al di là della recessione economica, era la perdita di fiducia degli investitori nel Governo italiano. Non è un caso che il mercato si sia risollevato dopo l’elezione di un Governo tecnico. Anche il crollo della sterlina dopo Brexit e l’inaspettata crisi in Germania dopo le elezioni di fine 2017 (in cui si incontrarono ostacoli alla formazione di un governo, che si risolsero in un accordo fra CDU e SPD), sono esempi di come molto spesso la politica abbia un forte impatto sul mercato, più di quanto la finanza possa influenzare le decisioni reali in un Paese.
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