L’industria del beauty, comprensiva di prodotti per capelli, prodotti per la cura della pelle, profumi e deodoranti, vale oggi ben 532 miliardi di dollari. Una fetta significativa di questa industria è occupata dai prodotti di make-up, che da soli ne rappresentano il 18,2%.
Guardando tra gli ingredienti di moltissimi dei prodotti sponsorizzati con grande entusiasmo sui canali social degli innumerevoli beauty influencer, si trova quasi sempre la mica, indicata spesso anche come potassium aluminium silicate o con la sigla CI 77019. È questo minerale infatti che conferisce la luce e la brillantezza che caratterizzano gli ombretti, i rossetti e le creme illuminanti che sono parte importante della routine quotidiana di moltissime donne (e sempre più spesso anche uomini). La mica è dunque uno dei pilastri della produzione moderna di make-up.
Una storia millenaria
Il 60% della mica di alta qualità usata nei cosmetici viene estratta in India, principalmente nelle regioni di Bihar e Jharkhand, a circa 12 ore di treno dalla capitale New Delhi. Gli abitanti di queste zone hanno minato per millenni questo minerale per utilizzarlo a scopi decorativi e nella medicina ayurvedica.
Nel diciannovesimo secolo la regione fu scoperta dai colonizzatori britannici e, nei decenni a seguire, il numero di miniere crebbe al punto che nel 1947, l’anno in cui l’India riconquistò la sua indipendenza, se ne contavano quasi settecento, per un totale di 20 mila lavoratori.
Successivamente, la caduta dell’URSS provocò una grave crisi nel settore, in quanto l’Unione sovietica era stata a lungo la principale importatrice di mica. Il governo indiano smise di monitorare le miniere, fino a renderle illegali nel 1980 nella speranza di proteggere il patrimonio forestale, ma fallendo nel compito di chiudere quelle già esistenti e di reindirizzare i lavoratori verso nuove industrie.
Oggi la Cina ha ripreso le importazioni lasciate dall’URSS, tuttavia attualmente il 70% della mica proviene da miniere illegali e completamente non regolate dal governo.
La maledizione delle risorse
In questo vuoto normativo, le organizzazioni di stampo criminale hanno preso il potere e creato un’industria di sfruttamento e orrore, nell’ambito di quello che gli economisti definirebbero un vero e proprio caso di maledizione delle risorse.
Si stima che 22 mila bambini lavorino ogni giorno nelle miniere di mica presenti nelle regioni di Jharkhand e Bihar, per ottenere un guadagno che varia dalle 20 alle 30 rupie (circa 29-43 centesimi in dollari americani) per ogni giornata di lavoro.
Il lavoro nelle miniere è dannoso per la salute in quanto la polvere respirata in questi luoghi può causare infezioni, malattie e danni permanenti ai polmoni e può anche essere fatale: un’investigazione di Reuters del 2016 ha rivelato che non solo i bambini muoiono regolarmente in queste miniere, ma anche che molti dei decessi vengono coperti dai funzionari locali, rendendo difficile produrre una stima delle fatalità.
Nagasayee Malathy, il direttore esecutivo del gruppo di difesa indiano KSCF (Kailash Satyarthi Children’s Foundation), afferma che le morti nelle miniere oscillino tra le 10 e le 20 ogni mese. I decessi sono così comuni che i gestori delle miniere hanno determinato un ammontare fisso da pagare alle famiglie: a Jharkhand uno degli uomini che lavora in questi luoghi parla di un risarcimento di 4 mila rupie (432 dollari).
Il viaggio della mica
L’India nel 2011 esportava oltre 130 mila tonnellate di mica, di cui più della metà verso la Cina, ma secondo i registri ufficiali del governo la produzione annuale non superava le 15 mila tonnellate all’anno.
Il materiale grezzo estratto nelle miniere viene raccolto da un broker che lo vende ad un esportatore, il quale lo consegna poi al produttore, in genere in Cina. Solo qui viene trasformato nel fine pigmento madreperlaceo che viene acquistato dalle aziende di bellezza internazionali.
Terre des Hommes, una rete di 11 organizzazioni nazionali impegnata nella difesa dei diritti dei bambini, sottolinea come sia facile che la mica raccolta dai bambini venga venduta ad entità straniere sotto la licenza di una miniera legale, mentendo quindi sulla sua vera origine. La maggior parte della mica estratta proviene infatti dalle regioni già citate di Jharkhand e Bihar, dove quasi tutte le miniere sono illegali, per poi essere venduta sfruttando le licenze delle miniere legali delle zone di Andhra Pradesh e Rajasthan.
La catena di fornitura della mica non è sufficientemente sviluppata per essere certi che il minerale non provenga dallo sfruttamento minorile o da lavoro sottopagato. Gli standard posti dal governo indiano perdono efficacia a causa della corruzione che affligge le compagnie che si dovrebbero occupare della certificazione circa la provenienza del minerale.
Le contromisure
Nel 2009, la società farmaceutica e chimica tedesca Merck KGaA, che fornisce mica ai marchi di cosmetici di tutto il mondo, è stata accusata di usare bambini per estrarre il minerale in India. Dal 2011, il colosso farmaceutico afferma di aver implementato un «sistema di tracciamento della mica» e un «approccio su due fronti» per garantire il pieno controllo della sua catena di approvvigionamento.
La risposta delle aziende beauty di tutto il mondo non è stata univoca: da una parte Lush Cosmetics, venendo a conoscenza dello sfruttamento umano alla base della sua catena di rifornimento, e posta di fronte all’impossibilità di ottenere delle verifiche indipendenti o la tracciabilità dell’origine della mica, ha deciso nel 2014 di passare all’utilizzo esclusivo di mica sintetica, un pigmento luminoso biodegradabile creato in laboratorio.
D’altra parte il produttore leader mondiale L’Oreal, che possiede brand come Maybelline, Urban Decay, Essie e Nyx, non crede che la soluzione sia sospendere l’utilizzo della mica indiana. Le famiglie locali infatti, in assenza di alternative, fanno affidamento esclusivo sulla raccolta di mica per il proprio sostentamento, al punto da vedersi costretti a far lavorare anche i propri figli, a volte già dall’età di 5 anni.
Segnali di cambiamento
Se da una parte le rassicurazioni di queste aziende circa la tracciabilità sulla provenienza della propria mica restano poggiate su basi incerte, dall’altra la creazione di gruppi come la Responsible Mica Initiative (RMI) dimostra l’inizio di un impegno a favore di questi territori economicamente sottosviluppati.
L’RMI è un do tank intersettoriale, totalmente finanziato dalle quote associative, avviato nel 2017 con l’obiettivo di creare, entro il 2022, una catena di approvvigionamento etica e trasparente, a cui si sono unite aziende e gruppi come la stessa L’Oréal, Estée Lauder Companies, LVMH, Coty, Chanel e Shiseido.
Le quote associative sono determinate su una scala mobile dei ricavi annuali della società partecipante, che varia da 8400 dollari per i marchi che guadagnano meno di 56 milioni all’anno a 62 mila dollari per le aziende che guadagnano più di 10 miliardi: nel 2018 il fondo ammontava a 900 mila dollari. I primi due anni di attività sono stati dedicati interamente alla pianificazione e solo a marzo 2019 il team di RMI (formato da tre persone, una in Francia e due dipendenti in India) ha pubblicato il suo primo rapporto.
Tuttavia, sono organizzazioni come la Kailash Satyarthi Children’s Foundation e la Bachpan Bachao Andolan (BBA) che finora hanno riportato i migliori risultati sul territorio, in particolare attraverso la creazione di villaggi child-friendly. Qui i bambini e gli adulti possono parlare insieme dello sviluppo del villaggio attraverso incontri dove i più piccoli possono imparare i loro diritti e riunirsi per combattere i problemi che li riguardano, come i matrimoni forzati, le gravidanze in età adolescenziale, la mancanza di insegnanti e ovviamente il lavoro minorile.
Queste organizzazioni aiutano anche i genitori a trovare fonti aggiuntive di reddito, così da poter supportare la propria famiglia, e offrono servizi legali per aiutare questi villaggi ad ottenere le cure mediche, le infrastrutture e le scuole di cui hanno estremo bisogno.
Estée Lauder Companies (proprietaria di M.A.C., Clinique, Smashbox, Bobbi Brown e molti altri marchi) ha scelto di iniziare una partnership con BBA, per supportare il cambiamento sul territorio.
Nel 2014 Kailash Satyarthy è stato insignito di un premio Nobel per questo tipo di lavoro: le sue fondazioni (KSCF e BBA) hanno liberato oltre 80 mila bambini dal lavoro minorile, inclusi 3 mila strappati all’orrore delle miniere di mica.