Poco più di un mese fa si è concluso il campionato NBA, con il trionfo dei Toronto Raptors per 4-2 sui Golden State Warriors (è la prima volta nella storia che una squadra non statunitense conquista il titolo). Cala quindi il sipario su una delle competizioni sportive più ricche al mondo: secondo la rivista Forbes, infatti, il valore di ogni singola squadra ammonta mediamente a $ 1,9 miliardi, circa il 13% in più rispetto al 2018. Questo dato è ricavato dalla somma del valore sportivo, commerciale, del brand e dello stadio di ciascuna franchigia, termine utilizzato per indicare appunto le società sportive nordamericane che, data l’assenza di federazioni, sono libere di autogestirsi sotto tutti i punti di vista. Soprattutto quello economico.
Città che vai soldi che trovi
I New York Knicks sono la franchigia NBA con la valutazione complessiva più alta, pari a $ 4 miliardi (più del 11% rispetto al 2018): questo dato non rispecchia però i risultati ottenuti sul parquet del Madison Garden, dove la squadra non riesce dal 2000 a qualificarsi alle tanto ambite Finals del torneo. Giocare nella Grande Mela rappresenta però un valore aggiunto importante per valorizzare la propria immagine, inevitabilmente posta sotto gli occhi di milioni di persone che affollano le vie di New York (circa il 75% del valore proviene infatti da merchandising e presenze allo stadio). Situazione simile per i vicini di casa, i Brooklyn Nets, che hanno accolto l’anno scorso il co-fondatore di Alibaba Joe Tsai, il quale ha acquisito il 49% del capitale azionario della franchigia: adesso l’obiettivo è quello di migliorarne la valutazione, attualmente stimata a $ 2,3 miliardi.
Naturalmente l’attenzione economica e mediatica si sposta poi nelle altre grandi metropoli oltre a New York, soprattutto ad Ovest: Los Angeles ed Oakland possono infatti vantare le due squadre più vincenti dell’ultimo decennio, i Lakers e i Warriors, che con i loro campioni attualmente in rosa e una grande fama a livello mondiale valgono complessivamente $ 7,2 miliardi, un dato destinato ad aumentare in vista della prossima stagione.
Un ruolo importante a livello economico è detenuto inoltre dai Chicago Bulls e dai Boston Celtics ($ 2,9 miliardi ciascuno) dimostrando comunque di saper sfruttare ancora la visibilità acquisita negli anni 80-90.
Se eventualmente gli affari non dovessero più andare bene, l’NBA Boards of Governos (l’organo che gestisce il torneo) permette alle franchigie di cambiare città, portandosi dietro il nome e i trofei conquistati. Questo cambiamento (avvenuto molte volte nella storia) viene autorizzato dopo aver valutato la posizione della nuova destinazione , il numero degli abitanti e la grandezza del nuovo impianto dove la squadra giocherà.
Lo stadio come punto di forza
Definire gli impianti NBA come palazzetti sarebbe riduttivo: essi sono veri e propri stadi che, oltre ad ospitare il campo da gioco, hanno la funzione di erogare servizi 24 ore su 24, attraverso centri commerciali, ristoranti ed altro intrattenimento. Alcuni di essi vengono addirittura convertiti per altri eventi di spettacolo, come lo Staple Center di Los Angeles, o per altri incontri sportivi (la Scotiabank Arena, casa dei Toronto Raptors, alterna il parquet al ghiaccio per l’hockey).
Avere quindi un impianto efficiente permette alla franchigia di attirare più tifosi alle partite e soprattutto di stringere maggiori accordi con le emittenti televisive, allargando così i proventi annuali.
Negli ultimi anni si sta verificando una vera e propria “corsa” a rimodernare il proprio stadio (occorre ricordare che l’NBA ha avuto inizio nel 1946, ed alcune strutture sono quindi in piedi da quasi 70 anni): per esempio, i Millwaukee Bucks, squadra entrata da poco tra le grandi, ha ristrutturato il Fiserv Forum per la cifra di $ 524 milioni, mentre altre franchigie minori non rinunciano ad apportare alcune modifiche, mai sotto i $ 100 milioni di spesa.
Discorso a parte per i Golden State Warriors, che a metà giugno hanno giocato l’ultima partita all’Oracle Arena (storico impianto costruito nel 1966), per trasferirsi dalla prossima stagione al moderno Chase Center, stadio situato a San Francisco che sarà inaugurato ad ottobre: il costo per la struttura ammonta ad un miliardo di dollari.
I conti tornano
La NBA si dimostra quindi ancora una volta capace di creare un mercato con cifre da capogiro, con entrate complessive nel 2018 pari a $ 8 miliardi. Un risultato non da considerare scontato: nello scorso decennio più della metà delle franchigie avevano i conti in rosso. Oggi, secondo Forbes, solamente i Cleveland Cavaliers hanno una perdita operativa di $ 13 milioni, forse causata dalla diminuzione del suo valore complessivo (oggi $ 1,2 miliardi, il 4% in meno rispetto alla passata stagione).
Le restanti squadre hanno dimostrato invece di sfruttare l’aumento di popolarità che il basket e il torneo stanno avendo in questi cinque anni. Proprio in questo periodo alcune franchigie hanno registrato crescite dei guadagni spaventose: i Warriors hanno il trend più alto (+367%) rispetto ai Clippers, Philadelphia 76ers, Bucks e Raptors, che si aggirano in una fascia tra +282% e +%222.