Come è noto, l’economia è una scienza sociale, ovvero una di quelle discipline che studiano l’essere umano e la società. Al giorno d’oggi, tuttavia, esiste una relazione fortissima fra la scienza economica e la matematica. Quest’ultima, a differenza della prima, è una scienza pura (ovvero esatta): essa, infatti, non studia relazioni sociali fra esseri umani, ma relazioni fra entità astratte (numeri, insiemi, funzioni…), ed è caratterizzata da uno spiccato rigore metodologico. La scienza economica ha preso in prestito molti modelli e metodi matematici per capire e spiegare i fenomeni che nascono dall’interazione di più soggetti, come lo scambio, la formazione del prezzo, la quantità ottimale di un bene da immettere nel mercato da parte di un’impresa e così via. Il problema è il seguente: possono i comportamenti umani essere racchiusi, studiati, spiegati e previsti da formule e modelli matematici?
Dagli economisti-filosofi agli economisti-matematici
La commistione fra economia e matematica ha preso il sopravvento soltanto a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, per poi svilupparsi pienamente nell’ultimo secolo. In precedenza gli economisti erano veri e propri filosofi, oppure dei professionisti (banchieri, agenti assicurativi, contabili, agenti di cambio) che, in base alla loro esperienza lavorativa, notavano il susseguirsi di determinati fenomeni e comportamenti. Concetti di economia sono ravvisabili già nei filosofi greci Platone ed Aristotele, nello storico greco Senofonte, e nel teologo e filosofo San Tommaso d’Aquino. Anche il padre dell’economia moderna, Adam Smith, era in realtà filosofo e sociologo.
Il motivo del perché molti filosofi si occupavano anche in parte di economia è molto semplice: essa non è altro che una modalità con cui gli esseri umani interagiscono fra di loro, creando scambi e sotto-gruppi sociali. Un cambio di rotta si ebbe con l’avvento della teoria marginalista da parte di Léon Walras, che di formazione era ingegnere: l’obiettivo dell’economista deve essere quello di studiare come si ottiene una situazione di equilibrio stabile ed efficiente.
La matematica entra nelle scienze economiche…
Risultava quindi naturale fare un parallelismo fra le domande che l’economia poneva e le risposte che la matematica forniva. Ad esempio, alla domanda “qual è la quantità ottimale di beni che posso comprare se possiedo un determinato ammontare di denaro” si poteva rispondere ricorrendo alla teoria matematica dell’ottimizzazione vincolata, che consente di trovare i punti in cui una funzione ha il suo valore massimo o minimo nell’intervallo in cui viene analizzata.
Da quel momento in poi, molti matematici trovarono applicazioni economiche a modelli quantitativi puri (si pensi al concetto di equilibrio di Nash e alla teoria dei giochi, di cui abbiamo parlato in questo articolo), facendo incrementare il livello di interconnessione fra le due discipline. Ai giorni nostri, anche la scienza economica si è dotata di un metodo di ricerca, partendo dalla formulazione di ipotesi, passando alla modellizzazione del fenomeno fino alla verifica empirica, tramite l’ausilio della statistica e dell’econometria.
… ma non è semplice come sembra
Quando si prova a digitare sulla calcolatrice – qualunque calcolatrice – “2+2”, il risultato sarà sempre “4”. In economia non è così: nell’ultimo periodo, la BCE sta per rialzare i tassi di interesse, e le ripercussioni in Germania saranno molto diverse da quelle in Italia. Si tratta dello stesso tipo di politica, che però ha conseguenze molto diverse, quasi opposte, su due nazioni diverse. In altre parole, la calcolatrice è cambiata e il risultato è cambiato di conseguenza.
Questo esempio può aiutare a far capire che, per quanto si possano costruire modelli economici teorici corretti dal punto di vista matematico, i risultati non saranno sempre quelli sperati o previsti. Se si riflette un attimo, tutto ciò che ha un carattere economico dovrebbe essere prevedibile esattamente, perché si usa uno strumento “perfetto” e infallibile, ovvero la matematica.
Seguendo questo ragionamento, le crisi non dovrebbero mai manifestarsi, poiché sarebbero prevedibili con certezza matematica e quindi evitabili. Sappiamo bene che non è così: perché? Il mondo è un sistema dinamico, in continuo mutamento ed evoluzione, perché gli uomini e la società cambiano di continuo. L’evoluzione che è intrinseca nell’uomo non consente di catturare in un unico modello un determinato fenomeno, che ha molteplici configurazioni differenti.
Per questo motivo, al giorno d’oggi, la ricerca economica si trova di fronte un bivio: sviluppare nuove teorie che si basano su presupposti diversi (ad esempio l’economia comportamentale, basata sulla psicologia cognitiva), oppure definire nuovi metodi di interpretazione dei risultati matematici derivanti da modelli economici sempre più accurati e precisi; o ancora, una via di mezzo fra le due. Del resto, usando le parole di J. M. Keynes, l’economista
«deve essere allo stesso tempo e in qualche misura matematico, storico, politico e filosofo; deve saper decifrare simboli e usare le parole; deve saper risalire dal particolare all’astratto, al concreto nello stesso processo mentale; deve saper studiare il presente alla luce del passato, per gli scopi del futuro. Nessun aspetto della natura dell’ uomo o delle istituzioni umane gli deve essere aliena…».
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