Raul Gardini è stato un dirigente d’azienda ed in seguito imprenditore nell’Italia degli anni ’80. Nacque a Ravenna il 7 giugno 1933, nel 1957 sposò Ida Ferruzzi, figlia di Serafino, proprietario dell’omonima azienda. Dal matrimonio ebbe tre figli: Eleonora, Ivan Francesco e Maria Speranza. Gardini ha fatto parte, diventandone l’emblema, della categoria di giovani rampanti nella Milano degli anni ’80, i cosiddetti “yuppies”. La sua fama di raider, volto al rischio ed alla continua iniziativa, gli valsero il soprannome di “Corsaro”.
Il contesto
Raul Gardini, dopo aver conseguito il diploma di perito agrario e non aver portato a termine gli studi in Agraria presso l’università di Bologna, si inserì nel panorama economico e sociale della cosiddetta “Milano da bere”. All’inizio del 1980, l’Italia attraversò infatti un momento di grande rilevanza finanziaria, segnato dal boom della Borsa di Milano e del mercato azionario. Gardini seppe sfruttare queste opportunità per costruire la propria carriera nel settore industriale.
L’inizio con la Ferruzzi s.p.a.
Il matrimonio con Ida Ferruzzi ha consentito a Gardini di entrare nell’impresa di famiglia della moglie, l’azienda agroalimentare Ferruzzi, fondata da Serafino nel 1948 a Ravenna. La morte del proprietario e fondatore della società, il 10 dicembre 1979 in un incidente aereo, gli diede l’opportunità di salire al timone del gruppo romagnolo. Per ottenere il comando dell’azienda dovette competere con il cognato, Arturo Ferruzzi, in seguito dedicatosi ad attività agricole secondarie, e con il dirigente genovese Giuseppe de Andrè.
La nuova politica dell’azienda
La gestione di Gardini rappresentò uno spartiacque nella vita economica della Ferruzzi. Le nuove linee guida puntavano alla fine della diplomazia del suocero, con lo stop all’avvicinamento alla FIAT di Gianni Agnelli e ad Assicurazioni Generali. Gardini rinnovò inoltre lo stesso core business aziendale, agendo nell’attività del trading e trasformando la compagnia da primo importatore europeo di derrate agricole a primo esportatore della CEE.
I progetti successivi
L’ondata di novità giunta con il movimento yuppie ravennate si concretizzò in ulteriori iniziative di successo. Tra queste si annoverarono la “Rivoluzione Verde”, con l’introduzione della coltivazione della soia su larga scala in Italia nel 1981. In seguito, nel 1985, Gardini diede vita al “Progetto Etanolo”, basato sull’utilizzo delle eccedenze cerealicole per la produzione di benzina verde (bioetanolo). Nonostante ciò, l’idea incontrò l’opposizione delle compagnie petrolifere italiane, tra le quali anche l’ENI nel 1987. L’industriale decise inoltre di entrare nel business dello zucchero, ottenendo nel 1986 il controllo della francese Beghin-Say tramite Eridania. Gardini riuscì in poco tempo a rendere il gruppo il primo produttore saccarifero in Europa. A tal proposito, nel 1987 cercò di acquisire la British Sugar, fallendo a causa dell’opposizione della commissione antimonopoli.
La scalata alla Montedison
La conoscenza dei mercati azionari, l’amicizia con l’imprenditore Carlo de Benedetti ed il buon esito delle operazioni di Borsa di Mario Schimberini, consentirono a Gardini di intraprendere una scalata ai vertici della Montedison, azienda italiana operante nel settore chimico. In pochi anni divenne padrone della Montedison, con una spesa di circa 2.000 miliardi di lire, ed ottenne inoltre la carica di presidente nel 1987. Nonostante ciò, il gruppo iniziò a subire l’influenza di Enrico Cuccia e della sua Mediobanca.
Il caso Enimont
Nel gennaio 1989 venne varato il progetto di fusione della Montedison con l’ENI: la carta per rilanciare a livello mondiale la chimica italiana. L’idea di Gardini fu quella di unire il colosso chimico privato (Montedison) con quello statale (ENI) per creare un unico polo con un fatturato annuo non inferiore ai 12.000 miliardi di lire: Enimont. L’iniziativa ottenne il “placet” del governo nel 1988. Nell’anno successivo, il 24 febbraio 1990, Gardini dichiarò di voler acquisire la maggioranza in Enimont. Dal canto suo, il presidente dell’ENI, Gabriele Cagliari, affermò la propria contrarietà all’aumento di capitale, alimentando uno scontro tra il privato ed il pubblico. Celebre restò la frase “La chimica italiana sono io”, pronunciata da Gardini alla platea.
La fine del polo petrolchimico
L’opposizione di Cagliari all’acquisizione da parte di Gardini della maggioranza delle quote Enimont trovò un supporto nella magistratura il 9 novembre del 1990, con l’accoglienza della richiesta per il sequestro delle azioni Enimont. Figure chiave furono il giudice Curtò, che ordinò il fermo temporaneo ed il custode provvisorio Vincenzo Palladino. Fu la stessa ENI che fissò il prezzo per acquisire le azioni Enimont, pari a 2.805 miliardi di lire. Gardini, ritenendo la cifra troppo elevata, liquidò la propria quota.
L’addio alla Ferruzzi
Sulla scia del caso Enimont, Gardini abbandonò tutte le cariche ricoperte in Italia nel gruppo Ferruzzi, rimanendo però di fatto il proprietario. Nel 1991 il ravennate volle trasferire dall’Italia alla Francia il centro degli interessi del gruppo, incontrando la resistenza di Alessandra Ferruzzi e del marito Carlo Sama. L’11 giugno dello stesso anno, Gardini non si presentò alla riunione del CDA della Ferruzzi s.p.a. e venne escluso dall’azienda su iniziativa di Arturo Ferruzzi.
Il 1 agosto venne liquidata la quota di Gardini (acquisita da Franca, Alessandra e Arturo Ferruzzi) per 505 miliardi di lire. Il valore della quota fu in seguito impiegato dall’industriale per lo spostamento degli interessi della neonata Gardini srl in Francia, entrando nel capitale della Societè Centrale d’Investissment.
L’avviamento di nuove attività
Nei primi anni ’90, Gardini fu impegnato nella creazione di diverse nuove aziende, tra le quali la GEA (holding agroalimentare), San Diego (per stringere accordi con i gruppi industriali), ISA (servizi di consulenza per piccola e media impresa) e GARMA (il maggiore produttore di acque minerali in Italia). L’obiettivo delle eterogenee attività era quello di inserirle all’interno di un unico grande gruppo con un fatturato da circa 2.700 miliardi di lire.
La fine della Ferruzzi s.p.a.
Nel 1993, Sama e Arturo Ferruzzi chiesero a Gardini di tonare nell’azionariato dell’azienda di famiglia, ricevendo un istantaneo rifiuto. La Ferruzzi s.p.a stava attraversando un periodo di difficoltà economica, iniziato nel 1992. La volontà iniziale di Sama fu quella di ridimensionare l’attività. La situazione divenne in poco tempo insostenibile e la compagnia passò sotto la proprietà delle banche creditrici, attraverso un piano di risanamento industriale coordinato da Bondi il 17 giungo 1993, il cui garante fu Guido Rossi. Le banche, acquisendo la quota di maggioranza, estromisero la famiglia Ferruzzi dalla gestione operativa. L’azienda verrà poi liquidata da Mediobanca e dal suo dirigente Cuccia.
Le vicende giudiziarie
Il 23 giugno 1993 Gardini fece pubblicare dal Sole24Ore un articolo sulla propria estraneità dal crack della Ferruzzi e sulla volontà di dialogare con la magistratura riguardo la situazione finanziaria del gruppo. Il 13 luglio 1993 venne arrestato il latitante Giuseppe Garofano, ex presidente della Montedison, che svelò alla Procura di Milano come venivano create le disponibilità extra contabili, chiarendo gli interrogativi sugli squilibri nei conti della Ferruzzi. Le disponibilità venivano impiegate per pagare le tangenti ai partiti politici.
Con la sua deposizione, Garofano coinvolse anche Carlo Sama e Raul Gardini, menzionando quali diretti responsabili del circuito delle tangenti Berlini e Sergio Cusani. A seguito delle suddette dichiarazioni, il 20 luglio 1993, dopo quattro mesi di detenzione, si suicidò in carcere Gabriele Cagliari, seguito due giorni dopo, il 22 luglio 1993 dallo stesso Gardini. Lo yuppie ravennate si tolse la vita nella propria dimora in Palazzo Belgioioso a Milano. Nonostante ciò, la sentenza del processo Enimont del 28 aprile 1994 scagionerà Gardini perché indotto con la forza a delinquere da Cusani, poi condannato alla reclusione per 8 anni.