Se di Pablo Emilio Escobar Gaviria ne abbiamo parlato precedentemente in questo articolo, abbiamo ancora tutto da dire riguardo “il piccoletto”: El Chapo è probabilmente il narcotrafficante più famoso al mondo proprio dai tempi di Don Pablo. Capo di un’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di droga, chiamata Cartello di Sinaloa, fece dello Stato messicano natale la propria base di commercio. Un paragone diretto tra il cartello di Medellin e quello di Sinaloa è difficile (prodotti differenti, diversi concorrenti e mercati) ma alcuni criminologi hanno persino affermato riguardo a El Chapo che “in confronto a lui, Pablo Escobar parrebbe un chierichetto”. Dalle montagne del Messico fino alle città degli Stati Uniti, El Chapo controllava un impero talmente vasto da assicurargli orecchie e occhi ovunque e da fargli guadagnare dagli Usa il titolo di “nemico pubblico numero uno”, dopo la morte di Osama Bin Laden.
El Chapo è tornato alla ribalta mediatica l’8 Gennaio 2016 quando, dopo esser evaso due volte, venne arrestato nuovamente a Los Mochis, in seguito all’incontro con l’attore Sean Penn per un’intervista. E’ stato tradito proprio dalla sua vanità: voleva che venisse realizzato un film sulla sua vita. Ed effettivamente, i cliché ci sono tutti. Uomo che dalla povertà passa alle prime imprese criminali e infine ad una ricchezza inimmaginabile, dagli atroci massacri a danno della polizia messicana giunge poi alla costruzione di un impero. Il suo potere fu alimentato grazie ad una fitta rete di corruzione e ad uno stuolo di sicari e uomini di fiducia che crearono un clima di terrore e minaccia. Il racconto si sarebbe dovuto chiudere con il suo arresto, ma il mito e il suo potere non sembrano essere tramontati. Se vi è capitato mai nella vostra vita di utilizzare degli stupefacenti, vi sono ottime probabilità che quella droga arrivasse proprio dalle mani di El Chapo. Non pensate che sia assurdo, le statistiche sono molto più alte di quel che immaginate. In decenni di attività, El Chapo si è delineato come un vero e proprio amministratore delegato del crimine: da un lato era titolare di una industria produttiva armata, ma dall’altro una vera e propria rockstar popolare, mitizzato e idealizzato. D’altronde una persona che valeva più di un miliardo di dollari, che con un semplice cenno del capo poteva far uccidere un suo rivale o un individuo innocente per sfizio, che ha per moglie una modella di 32 anni più giovane di lui, non è più un semplice uomo, ma diventa una vera e propria icona per una cultura: le donne si dipingono sulle unghie il volto di El Chapo Guzman, i ragazzi se lo fanno tatuare, o indossano magliette che lo ritraggono e lo imitano in qualunque modo possibile.
Come capo del cartello di Sinaloa, Guzmán sovrintendeva alle coltivazioni di marijuana e papaveri da oppio con una superficie che superava in estensione la Costa Rica, circa 6 milioni di ettari all’interno del Messico; come anche ad una rete di spaccio in 17 dei 32 stati messicani con operazioni internazionali in 50 Stati. Si stima che il cartello controlli il 35% della cocaina prodotta in Colombia e, secondo fonti DEA (l’agenzia americana antidroga), nel 2013 abbia rifornito “l’80% dell’eroina, della cocaina, della marijuana e metamfetamina” che inondava il mercato della regione statunitense di Chicago. In anni recenti, l’attività del cartello è stata denunciata in Australia, a Hong Kong e nelle Filippine. L’intero gruppo è inoltre ritenuto responsabile dell’omicidio di più di 10.000 persone nella guerra della droga messicana. Con un patrimonio netto stimato in 1 miliardo e 400 milioni, El Chapo è a buon diritto proclamato da Forbes come il narcotrafficante più ricco al mondo. A Sinaloa raccontano che quando egli appariva all’improvviso in qualche ristorante di lusso, le sue guardie del corpo requisivano i cellulari a tutti i presenti e lui ordinava di pagare la cena per tutti e offriva anche cognac e altri alcolici. Dopo l’offerta di 750 milioni di dollari rivolta al Chelsea (Football club), Guzmàn fu dichiarato come il decimo uomo più ricco del Messico e il centoquarantesimo uomo per patrimonio nel mondo.
Il cartello di Sinaloa è specializzato in un ambito molto particolare: la costruzione di passaggi sotterranei di cui da anni si serve non solo per organizzare evasioni di criminali influenti, ma anche per far arrivare carichi di droga e armi oltre il confine con gli Stati Uniti. Una rete di passaggi sotterranei molto sofisticata, dotata di sistemi di ventilazione, elettricità e persino binari. La prima volta El Chapo venne arrestato nel 1993, in Guatemala. Rimase in carcere per sette anni. La fuga fu decisamente spettacolare: proprio come in un film scappò nascosto nel furgoncino della lavanderia. Era il Gennaio del 2001. Anche nel 2014 El Chapo era riuscito a darsi alla fuga proprio grazie all’ingegneria del cartello, il quale aveva costruito un bagno il cui pavimento poteva inclinarsi di 90 gradi mediante un pulsante. Il boss fuggì ad un blitz USA proprio in questo modo, lanciandosi letteralmente nella rete fognaria della città. Venne in seguito arrestato nel febbraio del 2014 mentre si trovava in un modesto appartamento insieme alla moglie e alle due figlie gemelle, lungo la costa del Pacifico a Sinaloa, nello stato in cui è nato e cresciuto. L’8 gennaio del 2016 viene catturato di nuovo per l’ultima volta. Negli ultimi mesi dello scorso anno, i suoi avvocati hanno combattuto in ogni modo contro l’estradizione chiesta dagli Stati Uniti, fino al 19 Gennaio 2017, quando dalla prigione di Ciudad Juarez, El Chapo è stato messo su un aereo diretto a New York per essere processato negli Stati Uniti. Nonostante fosse in prigione, “il piccoletto” non mancò certo di ironizzare sull’attualità: se molti sospettavano che non sarebbe mai stato estradato (conscio di segreti inconfessabili sull’élite politica Messicana), El Chapo twettò dalla prigione, riferendosi al muro proposto da Trump, : “Il muro? Non è un problema. Lo distruggo, ci salto oltre o ci passo sotto”. Sembra che non sia ancora il momento di mettere un punto sulla vita di Joaquin Guzmàn.
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