Nel corso degli anni il numero degli istituti di credito è costantemente aumentato e oggi, oltre alle banche tradizionali, emergono anche le nuove digital banks, che si differenziano per l’adozione di modelli di business sempre più telematici. Di fronte ad un’offerta sempre più vasta, per il consumatore diviene quindi complicato decidere a chi affidarsi e presso quale istituto aprire il proprio conto corrente. La paura di depositare i propri risparmi in enti che potrebbero rivelarsi non realmente solidi è stata accentuata dai diversi crack bancari che si sono verificati negli ultimi anni.
Effettuare una scelta consapevole è divenuto ancora più importante a seguito dell’introduzione della legge sul bail in, che include tanto gli obbligazionisti quanto i depositanti (seppure con cifre superiori a 100 mila euro) tra i soggetti che, in caso di fallimento dell’istituto, partecipano alle perdite, anche se in misura subordinata.
Valutare correttamente la solidità di un istituto bancario, interpretarne e comprenderne i relativi coefficienti tuttavia non è semplice: cerchiamo allora di fare chiarezza in merito e di individuare i principali parametri da valutare nel percorso di scelta della propria banca.
Il Common Equity Tier 1
Il primo parametro da considerare è il Common Equity Tier 1 (CET1): questo indicatore patrimoniale misura la capacità dell’istituto di assorbire eventuali perdite con il proprio patrimonio, senza intaccare quello dei clienti. Esso viene calcolato rapportando il Tier 1, ovvero la somma tra l’equity e tutte le riserve ordinarie iscritte a bilancio, con il valore delle attività ponderate per il rischio.
Il livello di CET1 varia da banca a banca e viene comunicato su base annuale dalla BCE. Ogni istituto deve garantire che tale indicatore non scenda mai al di sotto della soglia indicata, oltre la quale scatta l’obbligo di un rafforzamento patrimoniale, ma ovviamente ha facoltà di mantenerlo più alto. In Italia, il CET1 medio si attesta sul 10.5%, seppure la presenza di percentuali più elevate sia indicatore di maggiore solidità.
La leva finanziaria e la qualità degli impieghi
Oltre al CET1 risulta importante valutare anche la leva finanziaria, un indicatore del profilo di rischio. Essa si calcola rapportando il totale dell’attivo al patrimonio della banca ed indica quanti soldi l’istituto creditizio prende a prestito per ogni euro di patrimonio proprio: tanto maggiore è questo rapporto – ovvero tanto più alto è il suo livello di indebitamento – tanto minore è la capitalizzazione della banca.
L’importanza di avere una leva finanziaria relativamente bassa è emersa in pieno durante la crisi economica del 2008: a seguito della deregulation di tutto il settore, le banche si esposero a rischi ben maggiori di quelli presi in precedenza, mettendo in pericolo il patrimonio dei propri clienti. La concessione di credito a persone che non detenevano i requisiti minimi per ottenere un mutuo fece sì che, nel momento dello scoppio della bolla speculativa, diversi crediti bancari si trasformassero in non-performing loans (NPL), difficilmente recuperabili, intaccando l’attivo della banca. Questo causò il crollo del sistema finanziario, che si riversò poi sulla parte reale dell’economia a causa della frenata nell’erogazione dei crediti.
Proprio la qualità degli impieghi è un’altra variabile fondamentale da considerare: maggiore qualità implica minori crediti deteriorati iscritti a bilancio. Risulta particolarmente utile in tal senso valutare il Texas Ratio, definito come il rapporto tra gli NPL e la somma di patrimonio tangibile ed accantonamenti dell’istituto di credito; esso fornisce informazioni sullo stato patrimoniale dell’istituto. Per essere considerata solida, una banca dovrebbe presentare un Texas Ratio inferiore al 100%.
La redditività
Altri parametri da valutare sono la redditività e la liquidità. Dal lato della redditività ricordiamo che il business tradizionale di una banca è quello di raccogliere capitali ed impiegarli fruttuosamente sui mercati o presso altri clienti, guadagnando sulla differenza tra interessi attivi e passivi (il cosiddetto margine di interessi). Se tale compito non viene eseguito correttamente, allora non vi è neanche bisogno di addentrarsi nell’analisi dei diversi parametri sopra descritti: l’istituto creditizio non resterà solido a lungo.
Per monitorare la redditività di una banca, oltre ai classici indicatori quali il ROE (return on equity) ed il ROA (return on assets), si considerano anche il margine di intermediazione ed il cost to income ratio. Il primo è calcolato come la differenza tra gli interessi attivi e passivi di una banca al netto di eventuali rettifiche, e fornisce una chiara visione sull’andamento del core business. Il cost to income ratio, invece, può essere utilizzato per la valutazione dell’efficienza gestionale e viene calcolato come rapporto tra il totale dei costi operativi ed il margine di intermediazione della banca; idealmente esso si mantiene su valori inferiori al 60% (e comunque mai superiori al 70%), soglia oltre la quale l’istituto mostrerebbe una bassa efficienza operativa.
La liquidità
Dopo l’analisi patrimoniale e reddituale, si procede con un’analisi della liquidità. Il coefficiente di liquidità, definito come il rapporto tra le riserve di liquidità e i debiti a vista della banca, indica la capacità dell’istituto di far fronte ai propri impegni finanziari. Tale coefficiente risulta ottimo quando mantiene il seguente equilibrio: permette alla banca di non trovarsi nella situazione di dover vendere anticipatamente parte dei propri impieghi per fronteggiare pagamenti imprevisti e, al tempo stesso, permette di non trattenere una liquidità superiore a quella realmente utilizzata, che in quanto immobilizzata non frutterebbe all’istituto alcun guadagno.
Tra gli indici di liquidità risultano importanti i dati LCR ed NSFR, introdotti dalla normativa Basilea 3 per aumentare la resilienza bancaria a situazioni di stress.
I parametri appena esposti si evincono dai bilanci degli istituti di credito; ricordiamo tuttavia che anche il mercato offre importanti criteri per la valutazione delle banche: essi sono principalmente i Credit Default Swap e il rendimento delle obbligazioni, oltre ovviamente al rating stabilito dalle agenzie specializzate.