Smith Barney Inc.: le testimonianze
Era il 1996 quando 23 broker, tutte donne, denunciarono la Smith Barney Inc., società americana di servizi finanziari ad oggi conosciuta come “Morgan Stanley Wealth Management, per molestie sessuali e discriminazioni: scoppiò il caso “Boom-Boom Room”. Le 23 denunce diventarono presto quasi duemila, ottenendo lo status di class action e, alla fine, la Smith Barney Inc. fu condannata a pagare 150.000.000 $ di risarcimento.
Renée-Eva Fassbender Amochaev è tra le donne che negli anni hanno citato in giudizio la Smith Barney Inc.: secondo la sua esperienza, riferita al periodo in cui la società era ancora parte di Citigroup (ante 2009), le modalità di risoluzione dei casi di molestie sessuali applicate dalle aziende che operano a Wall Street proteggono soprattutto le società e gli autori delle violenze.
Sostanzialmente, nella pratica, vengono pagati proficui risarcimenti ma, gli uomini colpevoli di tale atto, non vengono mai licenziati.
Secondo le dichiarazioni rilasciate dalla donna: “Tutti all’interno sanno che il sistema è truccato. E, poiché i risarcimenti sono privati, le vicende restano confidenziali. La cattiva condotta non diventa pubblica, e il risultato finale è un segreto che perpetua il problema.”
La scoraggiante dichiarazione di Lisa Carnoy.
Lisa Carnoy, che ha recentemente lasciato la sua posizione di rilievo presso Bank of America e Merrill Lynch, ha lavorato in Bear Stearns Inc. all’inizio della sua carriera.
Nonostante la permanenza lavorativa fosse stata breve, ricorda chiaramente come la presenza femminile fosse ridotta e che i dirigenti avevano collocato le loro scrivanie nella stessa area, conosciuta in ufficio come il “ghetto rosa”.
Nel 2013 la Carnoy è stata classificata, da American Banker, come 4° donna più potente di Wall Street, ma le sue dichiarazioni fanno riflettere: “Ho semplicemente imparato ad ignorare la cattiva condotta. L’ammontare del potenziale compenso pagato a Wall Street può offuscare il giudizio delle persone: il bonus annuale di un dirigente può essere di milioni di dollari e, se una donna ha subito gravi molestie sessuali a Wall Street, anche l’accordo sarebbe costituito in milioni.
Cambia l’azienda ma non il problema
In tempi più recenti, per la precisione nel 2010, un’ex vicepresidente, un’amministratrice delegata e un’associata di Goldman Sachs hanno presentato istanza in un tribunale federale (USA) per una causa per class action contro l’azienda, sostenendo che la stessa ha sistematicamente discriminato le donne in termini retributivi e di avanzamento nella carriera.
L’ex vicepresidente, Cristina Chen-Oster, la quale ha trascorso otto anni in Goldman Sachs prima di andarsene nel marzo 2005, ha raccontato la molestia da lei subita nell’autunno del 1997 quando, assieme ad alcuni colleghi andò da “Scores”, locale di spogliarello a Manhattan, per celebrare la promozione di uno di loro: più tardi, quella notte, un associato sposato insistette per accompagnare la donna all’appartamento del ragazzo, situato a pochi isolati di distanza. Una volta lì, l’uomo la mise con le spalle al muro, la baciò, la tastò, e tentò di avere un rapporto sessuale con lei.
La mattina dopo scusò e le chiedette di tacere “l’incidente”.
Alla fine, la donna decise di riferire l’accaduto al suo supervisore, il quale però non prese posizione. Da quell’evento, la carriera di Chen-Oster in Goldaman Sachs fu delle più floride: è stata promossa una volta e il suo stipendio aumentato del 27%.
D’altra parte, anche il suo aggressore fece carriera, divenne socio e vide un aumento salariale del 400%, fatto che la stessa Goldman si rifiutò di commentare.
Cosa dicono le statistiche?
Le vicende riportate sono riferite a lassi temporali anche 20 anni addietro ma, ad oggi, la situazione non è notevolmente migliorata.
Anche se le donne hanno iniziato a parlare delle molestie sessuali sul posto di lavoro, la Commissione federale per le pari opportunità di lavoro e le sue controparti a livello statale (quindi dati riferiti agli USA) hanno ricevuto poco più di 9.600 denunce nel 2017 (fonte: Bloomberg), con un calo del 41% dal 1997. Ma non bisogna farsi ingannare: il dato non si traduce in un calo del 41% delle molestie sessuali ma, come riportato precedentemente, è imputabile ad una risoluzione privata delle controversie.
Secondo la Society for Human Resource Management, il 95% aziende USA ha un processo di reclamo interno e l’82% per cento ha un protocollo di indagine.
Sempre in questo senso, secondo una ricerca dell’Economic Policy Institute, più della metà delle aziende statunitensi richiedono ai dipendenti di risolvere le controversie di ogni tipo, comprese le molestie sessuali, attraverso l’arbitrato, insomma, a porte chiuse.
Possibili soluzioni
Tara Lachapelle, autrice per Bloomberg, sostiene che il modo più semplice ed efficace per frenare le molestie è mettere più donne nelle posizioni di potere: “Assumere più donne potrebbe cambiare la visione dei media e potrebbe influenzare le norme in modo più ampio. La mancanza di donne nei ruoli di leadership aiuta a spiegare la perpetuazione degli stereotipi sessisti proposti dai media e, che poi, trasudano nella società”.
Sull’altro fronte, per contrastare la confidenzialità delle molestie, vi sono diversi cambiamenti in corso, atti ad incoraggiare le aziende a rivelare di più: per esempio, il Senato dello Stato di New York ha un progetto di legge che richiede alle aziende di presentare ogni anno statistiche sui reclami per poter beneficiare di una riduzione delle imposte sullo sviluppo; ancora, il California Pension Employees Retirement System, il più grande fondo pensione degli Stati Uniti, sta valutando una politica atta a spingere le aziende che ha nel portafoglio ad aggiungere maggiori informazioni sui risarcimenti per molestie sessuali.