C’è un Paese europeo che è stato preso a modello dai socialdemocratici di mezza Europa, perché nelle elezioni di maggio ha rappresentato uno dei pochi baluardi in grado di resistere al crollo dei tradizionali partiti di sinistra, crollo che ha caratterizzato il voto nella maggior parte dell’Unione Europea. Si parla della Spagna, dove il partito socialista (PSOE) è infatti uscito vincitore dalle urne per la seconda volta nel giro di poco più di un mese, confermandosi primo partito con circa il 33% dei voti. Il Paese iberico, però, non è diventato un modello solo in ambito politico, ma si è fatto notare anche per le ottime performance economiche. Nel 2018, anno del rallentamento globale e del crollo della produzione nella locomotiva tedesca, la Spagna ha ottenuto il più alto tasso di crescita (+2,6%) tra i Paesi che fanno parte dell’Unione Europea.
Questo risultato non è frutto dell’estraneità dell’economia spagnola alle tensioni globali; le ripercussioni ci sono state, e in particolare si sono fatte sentire nel settore dell’automotive, di cui la Spagna è secondo produttore europeo con 2,2 milioni di autovetture all’anno, dietro solo all’inarrivabile Germania. Il brusco calo delle immatricolazioni ha certamente pesato, e infatti il tasso di crescita del PIL è stato il più basso dal 2014. La contrazione, però, non ha intaccato il primato europeo, grazie soprattutto a un filotto impressionante messo a segno da Madrid nei tre anni precedenti: +3,6% nel 2015, +3,2% nel 2016 e +3% nel 2017. Nello stesso periodo l’Italia è cresciuta in media dell’1,2% (-2,8% rispetto alla media spagnola). Il PIL pro capite spagnolo è così passato dall’essere pari all’87% di quello italiano nel 2008, al 94% nel 2019.
La crisi politica in Spagna
Ciò che più stupisce è il contesto nel quale ha avuto luogo la rinascita spagnola. La più grande monarchia dell’Europa occidentale sta infatti vivendo la più grave crisi politica della sua breve esperienza democratica (il regime fascista del generale Francisco Franco è caduto solo alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1975). La crisi economica iniziata nel 2008 ha portato all’ascesa di nuovi movimenti politici (Podemos, Ciudadanos e Vox su tutti) che hanno contribuito a rendere lo scenario molto più instabile, con maggioranze parlamentari incerte e fragili. In pochi anni si sono succedute tre elezioni generali e lunghi periodi senza un governo in carica; tuttora, nonostante la vittoria alle elezioni del 28 aprile scorso, il leader del partito socialista spagnolo Pedro Sanchez non è riuscito a trovare un accordo per avere la maggioranza in Parlamento e poter quindi formare un Governo. A tutto questo si sono aggiunte le spinte indipendentiste di alcune regioni, che sono cresciute sempre di più nell’ultimo periodo e che, con il referendum sull’indipendenza della Catalogna, la regione più ricca del Paese, hanno per la prima volta messo in pericolo l’unità nazionale.
Nonostante questi grandi stravolgimenti, che con le loro incerte conseguenze avrebbero messo in difficoltà anche le più solide economie europee, la ripresa dalla crisi del 2008 è continuata senza particolari scossoni. Tra il 2009 e il 2016 l’export della Spagna è cresciuto di oltre il 50% e si è sviluppato anche in direzione di mercati non tradizionali, come ad esempio la Cina. L’occupazione è cresciuta al ritmo del 3% annuo a partire dal 2015 e questo ha significato che, in termini assoluti, negli ultimi due anni in Spagna è stato creato quasi lo stesso numero di posti di lavoro della Germania, a fronte di una popolazione complessiva che è poco superiore alla metà di quella tedesca.
Il confronto con l’Italia
I paragoni che si possono fare con l’Italia sono impietosi per il nostro Paese: nel 2017 il PIL della Spagna era già superiore del 2,8% a quello pre-crisi di 10 anni prima, mentre il PIL italiano era ancora indietro del 5,2% rispetto al periodo antecedente la crisi. L’affidabilità finanziaria riconosciuta alla Spagna a livello internazionale è cresciuta molto nell’ultimo periodo, tanto che Fitch e Standard&Poor’s hanno assegnato il rating A- al debito spagnolo, mentre l’Italia staziona ancora al livello di rating BBB, solo due gradini più in alto rispetto ai titoli “spazzatura”.
Quest’ultimo fattore ha avuto conseguenze anche nell’andamento dello spread tra i titoli di Stato dei due Paesi mediterranei rispetto ai Bund tedeschi. Il differenziale tra il rendimento dei Btp rispetto a quello dei Bund ha toccato il suo massimo nel gennaio 2012, quando raggiunse i 525 punti base, mentre il differenziale tra i Bonos e i Bund ha raggiunto il suo picco massimo nel luglio dello stesso anno toccando i 606 punti base. Da lì in poi, tuttavia, lo spread iberico ha avuto una discesa costante ed è arrivato a mantenersi stabilmente intorno ai 100 punti, mentre in Italia il differenziale è tornato a crescere a seguito dell’insediamento del Governo giallo-verde, stazionando, nell’ultimo anno, tra i 250 e i 300 punti.
La gestione della crisi finanziaria e il prestito dell’ESM
Questi risultati derivano anche da una diversa gestione della crisi. Madrid infatti è arrivata alla crisi finanziaria del 2008 con un debito pubblico al 35% del PIL, fattore che ha permesso al Governo di sostenere l’economia con un forte incremento della spesa pubblica negli anni più difficili. In quel periodo il rapporto deficit/PIL spagnolo ha sforato ampiamente il tetto del 3%, con punte dell’11% nel 2009 e del 10,5% nel 2012, e si è riportato al di sotto solo nell’ultimo anno. Il debito pubblico iberico è quindi arrivato in poco tempo a circa il 100% del PIL ed i consumi finali governativi nel 2017 sono stati del 9% più alti rispetto a 10 anni prima, dando così un importante contributo pubblico alla domanda aggregata.
Va detto che le banche spagnole hanno beneficiato del salvataggio europeo grazie ad un prestito di 100 miliardi di dollari da parte dello European Stability Mechanism (ESM), che ha permesso loro di liberarsi di gran parte dei crediti deteriorati prima dell’entrata in vigore del bail-in (qui il nostro articolo su questo meccanismo di salvataggio).
Non solo luci, quindi, ma anche tante ombre. Ad esempio il più alto numero di disoccupati in Europa, che nonostante tutti gli anni di crescita economica si attestano ancora a quota 3,3 milioni, un tasso percentuale del 14%, secondo solo a quello greco. Un altro dato da non invidiare è il tasso di povertà, tra i più alti nel Vecchio Continente, con milioni di persone che ancora vivono di espedienti e non hanno un reddito sufficiente a vivere decorosamente.
Questi dati però non offuscano la profonda trasformazione in atto nell’economia spagnola, che punta sempre più su settori ad elevata produttività e con una forte propensione all’export. Le esportazioni, infatti, rappresentano ormai un terzo del Pil della Spagna, che le vale in Europa il più elevato grado di apertura al commercio estero dopo la Germania. Anche quello che era considerato il “tallone d’Achille” iberico, l’indebitamento privato, negli ultimi anni si è fortemente ridotto, passando dal 241% al 192% del Pil.