Il giorno mercoledì 4 aprile 2018 il colosso dello streaming musicale Spotify sbarca a Wall Street, al New York Stock Exchange con una IPO (Initial Public Offering) del tutto nuova e non convenzionale nelle modalità con cui l’operazione è stata gestita. Infatti per la prima volta si può parlare di una quotazione diretta, ovvero non passata per alcun intermediario finanziario. Questa novità ha fatto sì che l’IPO fosse particolarmente seguita, in quanto rappresenta un precedente storico. La scelta dell’azienda svedese, però, appare rischiosa se si pensa all’importanza degli intermediari finanziari in una quotazione inziale.
Di solito un’azienda che vuole quotarsi in prima istanza vende le azioni da inserire sul mercato ad investitori istituzionali, ovvero fondi e banche d’investimento, ad un prezzo prestabilito. In questo modo, l’azienda riesce a garantirsi un acquirente finanziariamente attendibile, in grado di coprire l’intera operazione oltre a fissare il prezzo iniziale su cui poi si baserà la quotazione nel mercato. La fase iniziale avviene nel mercato primario, dove i titoli di nuova emissione vengono negoziati per la prima volta, per poi essere messi in circolo nel mercato secondario (per la definizione di “mercato primario” e “mercato secondario” vedi la lezione apposita), dove rimangono finché non si giunge ad una loro eventuale scadenza. Quindi il ruolo dell’intermediario in questo sistema svolge una funzione chiave: si occupa in primo luogo di coprire l’operazione comprando i titoli, dopo, di solito il giorno successivo, questi vengono venduti sul mercato secondario ad un prezzo maggiorato di un premio per coprire il rischio dell’investimento. A questo meccanismo si aggiunge anche una commissione che l’azienda paga all’intermediario per svolgere queste operazioni, offrendo una maggiore attendibilità e know-how nella costruzione dello strumento finanziario più adatto alle esigenze dell’azienda. Inoltre, l’investitore istituzionale più di tutti è in grado di trovare compratori interessati al titolo già prima della sua emissione.
Finora è stata illustrata l’importanza che riveste il ruolo dell’intermediario nell’operazione, tuttavia Spotify ha deciso di fare da sola ed accogliere una nuova sfida prendendosi un rischio non indifferente. L’assenza di un istituto che curasse l’IPO poteva aumentare in modo considerevole la volatilità del prezzo del titolo. In caso di successo dell’operazione, però, tutti i proventi della quotazione entreranno nelle tasche degli azionisti e dei dipendenti di Spotify, non essendoci da pagare alcuna commissione. Tale quotazione, infatti, non è legata ad un aumento di capitale, ma l’azienda così facendo ha voluto dare ai primi azionisti la possibilità di uscire dall’investimento collocando le proprie quote sul mercato. Tra gli altri motivi che hanno spinto ad una quotazione diretta vi è senza dubbio la popolarità di cui l’azienda godeva ben prima di quest’operazione, sarebbe stato infatti pressoché superfluo il ruolo di sponsorizzazione da parte di un intermediario per far conoscere Spotify al mercato. Quella adottata dalla società svedese è una strategia senza precedenti storici nel mercato azionario.
La scelta della quotazione diretta, al termine del primo giorno di transazioni, è stata premiata dal mercato con un +13%. Se Spotify avesse chiuso il primo giorno con una capitalizzazione inferiore al valore iniziale allora si sarebbe potuto parlare di un vero e proprio fallimento, in quanto il risultato negativo avrebbe probabilmente innescato una reazione a catena, vista la natura particolare dell’IPO.
Quest’evento di Spotify rimarrà un caso isolato oppure la quotazione diretta sarà uno strumento sempre più utilizzato? Se così fosse, quale sarebbe il futuro di molti investitori istituzionali, quali le banche d’investimento? Forse è arrivato il momento per tutti di iniziare a cambiare il proprio modello di business e cercare nuove soluzioni al cambiamento che è in corso nel mondo della finanza per continuare a giocare un ruolo da protagonista anche nei prossimi anni.