L’indice FTSE MIB e lo spread: una relazione che può costarci caro
Era da molto che non si sentiva parlare di spread, termine che intorno al 2012 era quotidianamente sulle prime pagine di tutti i giornali. È proprio il caso di dire che i mostri del passato al volte ritornano, e fanno paura come prima. Di recente, infatti, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha reso pubblica la NADEF, ovvero la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, documento che ha l’obiettivo di aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica contenute nel DEF (Documento di Economia e Finanza).
La programmazione finanziaria contenuta nella prima NADEF del governo Lega-M5S non è piaciuta molto all’Europa, né tantomeno ai mercati: dal 27 settembre, giorno della pubblicazione della NADEF, l’indice FTSE MIB è passato da 21511.07 a 19255.98 punti, perdendo quindi il 10.48% circa, mentre lo spread è salito, attestandosi a circa 308 punti base (3.08%). Sembra una frase presa da un libro di macroeconomia, eppure potrebbe essere tranquillamente la prima pagina di un quotidiano. Sapere che cosa sono gli indici di borsa e lo spread e qual è la loro relazione può essere utile per capire il perché di questo momento molto delicato per il nostro Paese.
“La Borsa sale, la Borsa scende”: gli indici
Le aziende, di qualsiasi tipo esse siano, devono sostenere determinati costi durante la gestione quotidiana. Nella maggior parte dei casi il patrimonio messo a disposizione dall’imprenditore non è adeguato a far fronte a tutte le uscite, quindi l’azienda è obbligata a ricorrere al mercato finanziario, rivolgendosi ad esempio ad una Banca, per ottenere prestiti e quindi risorse monetarie. Più è grande l’azienda, maggiori sono i costi che essa deve fronteggiare, e quindi il suo fabbisogno di finanziamento aumenta.
Per le aziende di grandi dimensioni, che di solito adottano la forma societaria di S.p.a. (“Società per azioni”, nelle quali il capitale sociale – ovvero il capitale della società apportato dai rispettivi soci – è suddiviso in parti uguali, denominate azioni), un ottimo metodo per reperire quotidianamente risorse finanziare è ricorrere alla quotazione in Borsa: “quotare una società in Borsa” vuol dire consentire la negoziazione quotidiana e continua di una parte delle sue azioni. In pratica, tramite il normale funzionamento del mercato mediante la legge della domanda e dell’offerta, chi opera in Borsa può acquistare e vendere le azioni di una società quotata, facendone oscillare il prezzo; si avrà quindi che le risorse finanziarie della società quotata dipenderanno anche dal suo andamento nel mercato borsistico.
A questo punto, si può definire la Borsa come il mercato in cui vengono negoziate azioni (nonché altri titoli) delle società quotate. L’andamento della Borsa è un dato fondamentale per analizzare la situazione generale micro e macroeconomica di un Paese. Per riassumere l’andamento del mercato borsistico si ricorre all’uso degli Indici azionari di Borsa, ovvero indici rappresentativi del valore dei titoli azionari delle società a maggiore capitalizzazione: l’idea di fondo è quindi quella di poter riassumere i movimenti della Borsa in base al movimento dei suoi componenti principali.
In Italia l’indice fondamentale è il FTSE MIB, che rappresenta la quotazione (e quindi l’andamento) delle 40 società italiane quotate con la più alta capitalizzazione. Affermare che “la Borsa sale” o la “Borsa scende” significa, quindi, affermare che l’indice che rappresenta quella Borsa è salito o sceso. L’indice è espresso in punti: se a fine giornata i punti sono maggiori di quelli registrati a inizio giornata l’indice sale, e viceversa.
Spread e Borsa: come e perché sono correlati
Lo spread è la differenza fra il rendimento dei titoli di Stato Italiani (Btp) con 10 anni di scadenza e il relativo titolo tedesco (Bund) con 10 anni di scadenza. Per esempio, se il Btp scadenza 10 anni ha un rendimento del 3% e il Bund con scadenza 10 anni ha un rendimento 0.5%, lo spread fra i due sarà pari a 3% – 0.5% = 2.5% (ovvero 250 punti base).
Lo spread è una variabile molto importante per gli investitori: infatti esso riassume, in linea di massima, il rischio di default di un determinato Paese. Se un investimento è rischioso, per attrarre eventuali investitori disposti ad effettuarlo il suo rendimento dovrà essere elevato (si ricordi la relazione fra rischio e rendimento).
Se il rendimento dei titoli di Stato italiani è maggiore del rendimento dei titoli di Stato tedeschi, ciò significa che, agli occhi del mercato, l’Italia è un Paese più rischioso della Germania e quindi, per attirare investitori, è costretto ad aumentare l’interesse, ovvero il rendimento che dovrà pagare ai suoi creditori. Lo spread quindi si alza quando, a seguito di una determinata azione o notizia politica o economica che sia, gli investitori reputano più rischioso prestare somme di denaro al governo italiano.
Proprio dopo la pubblicazione della NADEF, il 27 settembre, lo spread è salito (ovvero, gli investitori hanno cominciato a reputare l’Italia come un Paese più rischioso), e l’indice FTSE MIB ha iniziato una precipitosa discesa. Non a caso infatti, almeno per quanto riguarda la situazione italiana, esiste una correlazione inversa fra l’andamento dello spread e quello dell’indice azionario. Come abbiamo detto, il FTSE rappresenta l’andamento delle 40 società con maggiore capitalizzazione: ben otto di queste sono Banche, quindi l’indice risulta molto poco diversificato. Questo significa che l’andamento del FTSE risente molto dell’andamento del settore bancario e finanziario.
Come mai le Banche risentono in modo negativo dell’innalzamento dello spread?
Nel proprio bilancio le Banche detengono, per vari motivi, molti titoli di Stato italiani, che formano il cosiddetto “capitale di prima classe (TIER 1)”: quando lo spread si alza (quindi il rendimento dei titoli di Stato aumenta) il loro prezzo diminuisce, quindi il valore del TIER 1 viene eroso. Di conseguenza, gli istituti di credito saranno costretti ad alzare gli interessi praticati sui prestiti, e ciò farà diminuire la domanda di fondi da parte degli imprenditori o delle famiglie.
Se lo spread si mantiene elevato (o, peggio ancora, cresce) per periodi eccessivamente lunghi, il settore bancario, come abbiamo appena visto, può risentire di momenti di forte crisi; questo può bloccare il mercato creditizio, facendo trovare le aziende sempre più in difficoltà a reperire i mezzi finanziari necessari per continuare la loro attività, a causa dei tassi di interesse troppo alti.
Dall’altra parte, in una situazione di crisi come quella descritta, il governo avrebbe difficoltà a ricorrere a politiche di espansione della spesa pubblica per stimolare l’economia. Infatti un aumento della spesa pubblica significherebbe, da parte dello Stato, chiedere nuovamente risorse finanziarie ai mercati tramite l’emissione di nuovi titoli di Stato. Che fiducia si potrebbe riporre in un debitore già sull’orlo del fallimento che chiede ancora denaro in prestito? Sicuramente molto poca. In termini economici, si richiederebbe un rendimento (tasso di interesse) ancora più elevato. Si innesca quindi un circolo vizioso da cui sarebbe molto difficile uscire. Fin quanto conviene tenere alto lo spread?
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