La finanza islamica
Il futuro mega-trend dell’economia mondiale è la Finanza islamica, che ha raggiunto i 2500 miliardi di dollari e che nel 2022, secondo le stime, raggiungerà i 3500.
Finanza ed Islam sono apparentemente un ossimoro: la legge coranica vieta di usare il denaro per ottenere altro denaro. Ecco dunque che, per bypassare un divieto religioso, sono nati i Sukuk, titoli compatibili con la vera e propria legge di Dio: la sharī‘a.
È importante ricordare che il termine “Sukuk” tecnicamente non indica un’obbligazione (anche se nel prosieguo dell’articolo lo useremo spesso come termine di riferimento). I possessori di “Sukuk” infatti acquistano pro quota la proprietà dei beni, mentre i sottoscrittori delle obbligazioni sono titolari di un diritto di credito. A differenza di quanto avviene per le obbligazioni tradizionali, le quali garantiscono un rendimento prefissato, i Sukuk rispettano il principio del profit and loss sharing: gli investitori percepiscono un utile che dipende dall’andamento del bene sottostante e nessun tipo di interesse garantito; inoltre si accollano il rischio d’impresa, cosa che non avviene per gli investitori in obbligazioni tradizionali poiché si configurano come meri creditori. Nella realtà pratica un’emissione di Sukuk presenta dei tratti in comune con un’operazione di cartolarizzazione (securitization).
È prevista infatti la creazione di uno Special Purpose Vehicle, SPV, dotato di una propria soggettività giuridica i cui fondi verranno utilizzati per finanziare attività che siano sharī‘a – compliant. Utile sapere che “Sukuk” è il plurale della parola araba “Sakk” il cui significato è “certificato”; il “Sakk” quindi è un certificato fiduciario (Trust Certificate). La “Accounting and Auditing Organization for Islamic Financial Institution” (cosiddetta, AAOIFI), organismo responsabile dell’emissione di standard contabili per le istituzioni finanziarie islamiche, definisce i “Sukuk” come “certificati di comproprietà” che rappresentano quote indivise di proprietà di beni materiali relativi a particolari progetti o attività di investimento speciale. Un investitore in “Sukuk” ha una quota comune nella proprietà dei beni connessi all’investimento.
Di conseguenza, i titolari dei “Sukuk” hanno diritto a una quota dei ricavi generati dalle attività sottostanti. La remunerazione del “Sakk” pertanto non è un dividendo, né un interesse, ma una quota del reddito che l’asset sottostante produce. Ecco il fine dei Sukuk. E’ un fine tangibile, determinato e strettamente connesso all’economia reale. La logica che sta dietro la finanza islamica, che com’è noto vieta il prestito a interesse (ribà), ma non il guadagno sugli investimenti, rende i Sukuk assai meno capaci di esprimere leva finanziaria, rendendosi quindi molto più coerenti con le esigenze di stabilità finanziaria che il capitalismo occidentale tende a trascurare finché non è troppo tardi. Diventa perciò uno strumento molto maneggevole per quei paesi, a cominciare da quelli in via di sviluppo, che magari sono ricchi di materie prime ma hanno un rating finanziario basso che li tiene lontani dai grandi flussi del capitale internazionale.
Le tipologie di Sukuk
I principali Sukuk sono: Mudarabah, Musharakah, Murabahah, Istisnah, Ijarah e i Convertibili.
- Il Mudarabah Sukuk è un accordo tra due parti in cui la prima parte mette il capitale (100%) e gli altri apportano il management e la gestione d’impresa. Inoltre solo chi apporta il capitale risponde delle perdite, mentre in caso di utile entrambe le parti guadagnano in base a quote prestabilite;
- Il Musharakah Sukuk è una partnership tra banca e cliente, entrambi contribuiscono al conferimento di capitali (beni, liquidità). Le parti concordano in anticipo con un contratto i profitti, mentre le perdite sono diverse in base alle quote portate.
- Il Murabahah Sukuk è un contratto diviso in due parti. Nella prima un cliente chiede alla banca di acquistare un bene al suo posto, mentre la seconda stabilisce che dopo un certo periodo deve ricomprarlo con una maggiorazione di prezzo e a rate.
- Il Istisnah Sukuk invece è un contratto di acquisto di beni prodotti su commessa ( manifatturieri e di costruzioni) ed è pagato al costruttore progressivamente secondo l’avanzamento del lavoro.
- Un altro Sukuk è l’Ijarah, il contratto più tipico della finanza islamica. Funziona come il leasing: la banca o il finanziatore compra e affitta i beni all’ imprenditore, dietro il pagamento di un compenso. I termini del contratto sono stabiliti in anticipo e il proprietario dell’immobile rimane la banca.
- Nel 2006 sono nati i Sukuk Convertibili in azioni. La conversione può arrivare al 30% del capitale azionario. I bond islamici convertibili stanno avendo un grosso successo proprio nei mercati europei; sempre più investitori ritengono che i Sukuk stiano diventando una valida alternativa ai tradizionali metodi di investimento.
Un mercato in escalation
I Sukuk sono diventati estremamente popolari dal 2000, quando il primo Sakk è stato emesso dalla Malesia. Il Bahrain ha seguito l’esempio nel 2001. Avanzando rapidamente sino ai giorni d’oggi, i Sukuk risultano utilizzati dalle società islamiche e dalle organizzazioni statali allo stesso modo, occupando un’ampia fetta del mercato obbligazionario globale. Nell’arco di 15 anni circa, le emissioni sono arrivate a sfiorare il trilione di dollari.
Nel 2001 il mercato muoveva meno di 20 miliardi; oggi 45 volte tanto. Una velocità pari solo al boom delle criptovalute, le quali però al momento non sono un investimento riconosciuto dalle autorità monetarie, nè tantomeno regolamentato. I Sukuk rappresentano il 17% della finanza islamica, dove la fetta più grossa, ovvero il 73%, è liquidità depositata in banche autorizzate dalle scuole coraniche. Nel 2016 sono stati emessi titoli per 88 miliardi di dollari: un rimbalzo del 44% rispetto all’anno precedente stando ai dati dell’ IIFM( International Islamic Financial Market, authority regolatoria del mondo arabo). Nessuna asset class tradizionale ha messo a segno una simile performance. Dal 2001 in poi l’emissione di Sukuk era sempre andata crescendo, fino al 2012, anno record in cui si toccarono i 137 miliardi di bond. Poi un brusco crollo: nel 2015 il mercato si era quasi dimezzato, con soli 60 miliardi, facendo pensare ad una morte prematura del mercato stesso. La ripresa invece è stata robusta: Moody’s stima che a fine mese i Sukuk del 2017 raggiungeranno i 95 miliardi e che il prossimo anno l’ammontare salirà addirittura alla cifra record di 148 miliardi, nuovo picco storico. I principali attori in questo particolare mercato della finanza islamica sono: la Malesia, che guida con i suoi 300 miliardi di emissioni in 15 anni, seguita da Sudan e Bahrain. Recentemente la platea si è allargata, con Giordania e Togo che hanno fatto il loro debutto.
Fonti: – Il Sole 24 Ore, Simone Filippetti
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