Per la prima volta da 30 anni, dai tempi della repressione di piazza Tienanmen, l’agenzia di rating statunitense Moody’s taglia il rating cinese da AA3 a A1. L’Agenzia ha motivato la scelta affermando che esistono forti preoccupazioni sul peso del debito, che potrebbe influenzare la crescita economica cinese. Pechino ha rimandato al mittente i risultati del downgrade definendolo inappropriato. Secondo un comunicato della Moody’s, il Downgrade rispecchia la condizione macroeconomica della Cina. Oltretutto il comunicato dichiara che la forza finanziaria cinese continuerà ad erodersi, con un continuo aumento del debito cinese. Nel 2016 il debito è arrivato al 260% del PIL del Paese. Analizzando questi dati il FMI (Fondo Monetario Internazionale) avvisa che una crisi cinese del debito rischia di destabilizzare i mercati internazionali.
I difetti dell’economia cinese
La crescita cinese prevista è pari al 6,5%, il valore più basso dal 1990 ma in linea con il piano Quinquennale cinese approvato lo scorso anno. Per Moody’s, nei prossimi anni, la crescita economica cinese rallenterà ulteriormente a causa della riduzione degli investimenti, della popolazione in età lavorativa e della produzione generale. La risposta di Pechino non si è fatta aspettare. Per i cinesi il rapporto Moody’s sopravvaluta le difficoltà economiche della Cina. Il ministero dell’Economia della Repubblica Popolare Cinese ha fatto notare che il debito Pubblico è solamente al 36,7% del PIL, un valore, secondo il Ministero dell’Economia, molto più basso rispetto agli altri paesi sviluppati e che l’aumento del debito è stato controllato con attenzione.
Possibili conseguenze
Alcuni esperti finanziari dichiarano che il downgrade avrà effetti negativi sull’economia cinese. Liao Qun, capo economista della City Bank international di Hong Kong, dichiara che “l’impatto diretto renderà complicato l’emissione del debito cinese e si assisterà ad un alzamento dei prezzi. De facto una doccia gelata che colpirà l’economia cinese”. L’Agenzia ha mantenuto alla Cina l’outlook stabile, questo non prevederà ulteriori downgrade del rating in futuro. Rimane forte la paura di una possibile crisi finanziaria della Cina; crisi che potrebbe essere peggiore di quella statunitense del 2008. Per prevenire una possibile crisi, la Banca Centrale Cinese ha approvato delle norme per ridurre i cosiddetti prestiti pericolosi, consolidare i requisiti di bilancio degli istituti bancari e i requisiti di trasparenza e di controllo. L’agenzia di rating americana ha dichiarato che da ottobre il settore “bancario ombra” della Cina (operazioni bancarie non regolamentate) ha registrato un incremento di 8,5mila miliardi di dollari, quasi l’80% del PIL cinese. Molti si domandano se i cinesi intendano regolamentare il settore finanziario, impauriti da una imminente crisi. Il Capo economista della Bank of Singapore, Richard Jerram, intervistato da Bloomberg News, ha affermato che “Non è sicuramente una grande notizia sapere che Pechino è nel bel mezzo di una bolla creditizia che richiederà inevitabilmente interventi governativi per coprire i danni economici di un possibile collasso”.
Pechino punta sulla Belt and Road Initiative (B&R)
Il rapporto di Moody’s ha spaventato l’intero mondo finanziario rivelando notevoli crepe nella crescita economica del dragone cinese. Ora Pechino punterà sulla realizzazione della Nuova Via della Seta, ambizioso progetto con l’obiettivo di collegare la Cina con l’Europa per far arrivare le merci cinesi nel Vecchio Continente. La BRI prevede circa 900miliardi dollari di investimenti che saranno indirizzati nella realizzazione di infrastrutture e coinvolgeranno 64 paesi. Per il Financial Times il progetto è pari a 12 volte il piano Marshall. Ma il quotidiano economico britannico sottolinea che ci sono notevoli lacune nel progetto cinese. Per il Financial Times, infatti, molti paesi dell’Asia Centrale, che verrebbero coinvolti dalla Nuova Via della Seta, riceverebbero nuove infrastrutture ma che alla fine non potranno essere utilizzate al massimo della loro attività. Inoltre i paesi rischierebbero di non ripagare i debiti contratti con Pechino.