All’inizio del XX secolo Arthur Pigou, economista inglese “amico/nemico” del ben più famoso collega John Maynard Keynes, stava studiando l’impatto dei fallimenti del mercato sull’ecosistema globale. Il suo contributo maggiore alla dottrina economica consiste nell’introduzione della cosiddetta esternalità, e l’idea che questa potesse essere risolta applicando una tassa, la cosiddetta Pigouvian Tax (tassa pigouviana) al suo verificarsi.
Per esternalità si intende «il costo imposto o il beneficio concesso ad un soggetto non preso in considerazione dalla persona che esercita un’azione». Secondo Pigou, la sola esistenza delle esternalità è sufficiente a giustificare l’intervento dello Stato all’interno dell’economia, contrariamente a quanto asserito da Keynes, proprio con il fine di risolvere le stesse.
I suoi studi si sono concentrati molto sull’impatto delle esternalità negative sul welfare. Egli affermava che «se qualcuno sta creando una esternalità negativa, come ad esempio l’inquinamento, è necessario mettere in atto delle politiche atte a scoraggiare tali comportamenti». La dottrina di metà ‘900, tuttavia, non era molto d’accordo con la visione di Pigou, in quanto si ragionava sul fatto che «anche i Governi possono fallire così come i mercati, non c’è quindi alcun bisogno di imporre una tassazione sul verificarsi di una esternalità».
Il Pigou Club
Negli anni le cose sono cambiate. Oggi esiste un vero e proprio movimento che, seppur non in maniera plateale, sta dando un importante contributo alla ricerca nel campo della riduzione dell’inquinamento. Sono i membri del Pigou Club, creato dall’economista Greg Mankiw, che lo descrive come «un gruppo di élite di economisti e guru della preservazione del nostro ecosistema, con il buon senso di essersi posti a favore di alte tasse pigouviane, come quelle sulla benzina e sul carbone». Ad oggi il club annovera più di 100 iscritti, tra cui i più importanti economisti del mondo, ma non solo: tra gli aderenti al club troviamo infatti anche attori come Leonardo Di Caprio, filosofi come Noam Chomsky e personaggi del mondo della tecnologia e dell’impresa (primo tra tutti Bill Gates).
Lo scopo di questa organizzazione è quello di sensibilizzare le istituzioni all’introduzione di tasse pigouviane, non solo per correggere l’esternalità negativa che grava su tutti i soggetti del pianeta, ma soprattutto per abbassare e contenere l’uso di combustibili fossili altamente inquinanti. L’introduzione di tale imposta avrebbe come fine quello di internalizzare l’esternalità derivante dall’emissione di carbonio, e quindi andare ad incidere su tutte le decisioni prese in tale ambito.
Il calcolo della Pigouvian tax
Il problema sorge quando si va a valutare l’ammontare appropriato di tale tassa. L’imposta ideale è quella che andrebbe a compensare il costo dell’esternalità emessa dal soggetto pagante. William Nordhaus, illustre economista insignito nel 2018 del Premio Nobel, ha tentato di quantificare tale prezzo. Secondo la sua stima, il prezzo da pagare sarebbe di 30 dollari per tonnellata di carbonio emessa, aumentata fino ad 85$ nel 2050 (Nordhaus 2007). Tale incremento graverebbe sul prezzo del petrolio per circa l’8%.
Nicholas Sternel, l’anno precedente, aveva tentato a sua volta di quantificare tale tassa, ottenendo però un risultato ben diverso, circa 10 volte maggiore rispetto a quello trovato da Nordhaus. Tale differenza deriva dall’aver preso in considerazione un diverso tasso di sconto (o discount rate).
Per capire meglio perché un semplice tasso possa cambiare in maniera radicale il risultato di uno stesso calcolo basta illustrare un breve esempio. Supponiamo che un certo evento stia per accadere. Tra 100 anni a partire da oggi, esso andrà a modificare al ribasso il PIL mondiale di 100 miliardi di dollari. Quanto dovremmo pagare oggi per evitare questo evento futuro? La risposta dipende dal tasso di cambio dei dollari oggi rispetto al periodo “oggi + 100 anni”, il che è misurato appunto dal discount rate. Ad un tasso dell’1% annuo dovremmo pagare oggi ben 3.7 trilioni di dollari. Contrariamente, ad un tasso del 5% annuo, il risultato sarebbe di soli 15 miliardi di dollari.
Come dimostra l’esempio, una modifica plausibile (cioè veritiera e possibile all’interno del mercato) nel tasso di sconto può cambiare il risultato di più di 100 volte. È quindi estremamente complicato dare un numero esatto al costo di tale esternalità ai giorni nostri utilizzando tali metriche di calcolo.
In conclusione, non è ancora possibile affermare con certezza se una tassa pigouviana possa essere la soluzione definitiva al problema del cambiamento climatico in atto. Tuttavia, viste le repentine modifiche a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, porre un’imposta sull’emissione di carbonio (il principale inquinante atmosferico) potrebbe essere l’inizio di una campagna di sensibilizzazione fatta non solo di parole, regolamenti e manifestazioni, ma di atti concreti volti a preservare il nostro pianeta.