Perché è importante distinguerli?
Analisi dei rendimenti dei Bot dagli anni ‘90 ai giorni nostri
Un soggetto, il quale percepisce un reddito, avrà sempre interesse a destinare tali risorse finanziarie nella modalità più congrua a soddisfare i propri interessi. Alle volte però, le disponibilità monetarie di cui gode sono in eccesso rispetto all’effettiva necessità di spesa e dunque, deve scegliere in che maniera allocare tale ricchezza. Le variabili che influenzano tale scelta sono molte ma, in questa trattazione, ci concentreremo esclusivamente sui rendimenti
offerti all’investitore. Nel fare ciò, escluderemo dalla discussione i titoli finanziari più complessi, per andare invece a porre il focus sui Bot, o Buoni ordinari del tesoro.
Cosa sono i Bot?
La panoramica dei titoli finanziari presente nei nostri mercati è molto ampia. Fra questi vi si trovano spesso strumenti i quali rendimenti sono incerti e di difficile determinazione. Analizzare i loro payoff necessita l’impiego di modelli matematici. Fra i titoli che invece risultano essere maggiormente acquistati dagli investitori, anche per la loro semplicità, abbiamo i Buoni Ordinari del Tesoro. Essi sono strumenti che hanno scadenze sempre inferiori o uguali ai 12 mesi e sono definiti zero-coupon bonds. Un titolo Zero-coupon ha come caratteristica il non pagare nessuna cedola di interessi al suo possessore, ma di remunerarlo attraverso la differenza fra prezzo di acquisto e prezzo di rimborso. Infatti, i Bot emessi dallo Stato italiano per finanziare le sue necessità di spesa a breve termine, remunerano i propri detentori attraverso il Capital Gain, o in italiano, guadagno in conto capitale. Esso viene realizzato quando si ha una differenza positiva fra prezzo di rimborso e prezzo di acquisito. Il primo per prassi, viene definito pari a 100. Esempio: prezzo di acquisto 98; prezzo rimborso a scadenza 100; allora il CG= 100-98=2. Il lotto minimo, per il quale un privato può acquistare Bot è di 1000€ o suoi multipli, mentre vigono regole diverse per gli investitori istituzionali.
Ad oggi, qual è il rendimento nominale dei Bot italiani?
Passando ai dati reali, che descrivono la situazione di qualche mese fa, i Bot annuali emessi il 13/07/18 e con scadenza 12/07/19, hanno un rendimento lordo dello +0,337% con un prezzo di aggiudicazione quindi in sede d’asta di 99,66€. Chiunque abbia acquistato un buono ordinario del tesoro lo scorso luglio, fra poco meno di un anno riceverà un guadagno lordo di circa 3,40€ (0,34 x 10 considerando un lotto da 1000€). Come è possibile vedere la remunerazione nominale che tale titolo offre al giorno d’oggi è veramente irrisoria ma quantomeno positiva. Può sembrare un paradosso, ma fino a qualche mese fa, i Bot rendevano un tasso negativo lordo e quindi, essi venivano emessi ad un prezzo maggiore di quello del rimborso. Ma cosa significa rendimento nominale? Esso è il rapporto fra la cedola pagata all’investitore (considerata anticipata nei Bot) e il valore nominale del titolo.
E in passato? Quanto rendevano i Bot?
Come è facile vedere dal grafico sottostante, il quale riporta i dati dei rendimenti nominali ponderati dei Bot a 12 mesi, in passato essi rendevano molto di più agli investitori, i quali, potevano spesso godere quindi di tassi di rendimento anche molto vantaggiosi a cui investire le proprie eccedenze finanziarie. Quindi, guardando esclusivamente quelli che sono i tassi nominali, possiamo dire che, nel 1990, un investitore che impegnava un equivalente in lire di 1000€, poteva beneficiare dopo un anno di un guadagno nominale di ben 125,70€, ben diverso dai rendimenti attuali.
Siamo sicuri che quanto detto sia vero anche in termini reali?
Per tassi reali, si intende la remunerazione che l’investitore percepisce al netto dell’inflazione che si registra nel periodo di decorrenza dell’investimento, oltre che la decurtazione di tutte le eventuali spese di sottoscrizione ed imposte. Confondere i tassi reali di rendimento con quelli nominali è un grave errore in quanto distorce, in maniera sensibile, la percezione dell’effettiva convenienza dell’impiego. Infatti se nel 1990 i tassi che i Bot assicuravano erano molto più alti di quelli attuali, è anche vero che nello stesso periodo il tasso d’inflazione era molto più elevato. Quindi, ad esempio, un paniere di beni che nel 1990 veniva comprato con un equivalente in Lire di 1000€, nel 1991 sarebbe costato 1064.50€ (inflazione del 6,45%). Nel grafico sottostante viene fatto un confronto fra il tasso dei rendimenti dei Bot a 12 mesi e l’inflazione del medesimo periodo. E’ utile per capire, in termini reali, quanto effettivamente rendevano gli investimenti in Bot anche quando i tassi nominali erano molto più
elevati. E’ vero che nel 1990 era molto più conveniente investire in Bot rispetto che ai giorni nostri, come poteva far intuire anche il tasso nominale. Quest’ultimo, però, avrebbe creato problemi nel mettere a confronto un investimento fatto nel 2003 ed uno nel 2014. Seppure il tasso nominale del Bot sia maggiore nel primo caso, abbiamo invece un tasso di rendimento reale maggiore nel secondo, rendendo quindi più conveniente un Bot acquistato nel 2014 piuttosto che uno nel 2003.
Naturalmente, valutare solo ed esclusivamente la remunerazione di un investimento non è sufficiente a decretare se tale allocazione delle risorse sia la più adeguata alle esigenze di un individuo. Essa è comunque un ottimo punto di partenza per poter poi approfondire gli altri eventuali aspetti a noi sensibili. Regola generale è che l’investimento in qualsiasi titolo finanziario deve essere almeno in grado di coprire il tasso d’inflazione e le eventuali imposte a carico, così da rendere il rendimento reale positivo e non bruciare quindi il nostro patrimonio.